La nottola di Minerva e i manovali della scienza
Per un giovane intellettuale, appena finiti gli studi superiori, la scelta di un corso di studi universitario di carattere scientifico spesso nasce da esigenze conoscitive più che da valutazioni pratiche. In effetti la seduzione che la scienza può esercitare è notevole ed entrare nell’elite delle persone che riescono a scoprire come funzioni il mondo diventa un’ambizione naturale.
Penso ai tanti giovani scienziati un po’ si come alla civetta di Minerva, l’essere alato che spicca il volo di notte, capace di vedere al buio, alla ricerca delle manifestazioni della realtà, degli accadimenti diurni per tessere da questi una trama ricca di significato. Allo stesso modo un intellettuale o scienziato dovrebbe interrogare la realtà, cercando, cioè, connessioni tra accadimenti apparentemente slegati o addirittura in contrasto, con la tranquillità che solo la notte può dare.
L’atteggiamento dovrebbe essere ironico, distaccato per far nascere da sé il significato scientifico della realtà. La scienza è così potente che giace lì, pronta a essere scoperta, interpretata solo con una nostra intuizione. Tale attività, cui ho dato giustamente in queste righe un’aurea filosofica, dovrebbe smuovere le montagne della scienza con il tocco d’ala della nottola, introiettando la realtà delle cose per interpretarla senza sforzo.
Ma cosa comporta fare ricerca? Basta un intento aulico, nobile per produrre letteratura scientifica? Assolutamente no! Bisogna sudare e per dirla in inglese con Edison “Genius is one percent inspiration and ninety-nine percent perspiration” (il genio è ispirazione per l’uno percento e sudore per il novantanove).
Ottenere un dato, interpretarne la valenza e divulgarlo correttamente costa fatica, non solo intellettuale, ma fisica. Se da un lato un’intuizione può dare un godimento puramente cerebrale, dall’altra essa deve essere corroborata da un metodo di indagine corretto e corredato con dati solidi ed inconfutabili.
Non vorrei soffermarmi sulla mia esperienza personale, ma chi tra di noi dopo la laurea ha percorso i primi passi da ricercatore sa benissimo che mi riferisco a lunghe giornate in laboratorio senza ovviamente orari standard. Bisogna saper trovare un equilibrio non facile tra lo slancio della nottola e il necessario lavoro di laboratorio, tra il piacere intellettuale e la fatica da manovale che un impegno fisico, da laboratorio, richiede. Sembrano due sfere distanti e diverse ma esse sono necessariamente complementari. Sono fili che si intrecciano per creare la tela della scoperta scientifica.
E qui entra in gioco più pragmaticamente il ruolo dei differenti attori della scienza. Ultimamente ho dato voce su Internet a ciò che appare a molti, ma che nessuno ha messo nero su bianco, riguardo le sfumature dei ruoli in ambito scientifico. Non raramente nei centri di ricerca dove mi sono formato c’è, ed è mantenuta, una netta discontinuità tra le due sfere (intuizione e sudore) e non saprei se per miopia, ignoranza o per ambiguità. Così, da un lato si trovano, specialmente in Italia, la dirigenza scientifica che ha il merito ed il privilegio di seguire e consolidare una cosiddetta “linea di ricerca”, propagandando i risultati (si spera veritieri e facilmente riproducibili) e dall’altra la manovalanza dei ricercatori, perennemente sotto pressione e spinti a produrre dati e a pubblicare articoli scientifici. È ovviamente naturale che nelle prime tappe di una carriera scientifica si richieda tanto a un giovane ricercatore, ma spesso c’è un numero spropositato di PhD students o research fellows che sono assegnati a compiti che invece potrebbero essere delegati benissimo a personale tecnico. Tale commistione è spesso voluta per ovvi motivi economici in quanto sappiamo bene che assumere costa e quindi spesso il giovane ricercatore con contratto rinnovabile diventa un supertecnologo utile per attività di laboratorio, spesso routinarie.
Lo spirito a cui l’università o centri di ricerca devono anelare viene svilito con tale comportamento che è purtroppo consolidato e accettato quasi fosse normale. La mia è certamente una delle voci fuori dal coro e ho il piacere ed il privilegio di poter svelare tali aspetti un po’ per averli vissuti, un po’ perché adesso ho uno sguardo più ironico, avendo avuto la possibilità di allontanarmi da questo modo di fare ricerca. Il mio intento qui non è certamente quello di aggiungere una lagna ulteriore riguardo il sistema Italia, ma anzi quello di riportare per migliorare, scrivere per chiarire, spiegare per demistificare. La nottola di Minerva riuscirà a spiccare il volo e poggiarsi di nuovo sul braccio di colui che investiga la scienza? Riusciremo a trovare il giusto equilibrio tra voglia di intuire e voglia di fare? Ma soprattutto ci sono Istituzioni scientifiche che riconoscano la moralità di questa esigenza?