Gli scienziati: il virus corre, gli stati vanno piano

Il dieci marzo ha fatto irruzione nella discussione globale sulla diffusione del contagio da coronavirus l’elaborazione di Mark Handley, docente di sistemi informatici alla London University College, membro della Royal Academy dal 2019, fondatore, tra l’altro, del Center for Internet Research della AT&T, primaria compagnia di comunicazioni americana.

Lo studioso ha twittato il grafico di una sua elaborazione statistica, introducendolo così: “questi sono i dati della diffusione del coronavirus. Solo in un paese la progressione è diversa. Tutti gli altri saranno come l’Italia nel giro di 9 – 14 giorni”.

Il grafico mostra un incremento giornaliero dei casi del 33% in tutti i paesi presi in considerazione: Italia, Germania, Francia, Spagna, USA, Svizzera, Regno Unito. Solo per il Giappone la curva di progressione mostra un andamento sensibilmente più lento.

L’analisi considera la progressione dei casi nei venti giorni precedenti il 9 marzo. 

Ieri sera (undici marzo) il professore ha diffuso, come promesso, un aggiornamento del grafico e ha così twittato: “ho diviso i paesi in Europei e mondiali e ho preso in considerazione nuovi paesi. La progressione in Europa si presenta notevolmente analoga in tutti i paesi dopo i primi 100 casi“.

Stanotte Handley ha pubblicato un ulteriore grafico in cui si interroga, senza riuscire ancora trovare una tendenza chiara, sul rapporto tra innalzamento delle temperature e propagazione del virus.

La discussione sviluppatasi in calce al tweet dello scienziato inglese è ricca di osservazioni e dati di particolare interesse, esposti da medici, docenti universitari, matematici, ricercatori di tutto il mondo. Si può dire che la pagina twitter di Handley sia divenuta il fulcro del dibattito sull’analisi statistica dell’andamento della pandemia nel mondo.

Alcune osservazioni di carattere metodologico sono state sollevate sia relativamente alla elaborazione grafica (che include una scala logaritmica e una lineare) sia relativamente ai dati forniti dai singoli paesi. Basti pensare, su questo ultimo punto, che l’Italia per un primo periodo ha effettuato tamponi anche su soggetti asintomatici mentre la Germania ancora non esegue test su deceduti cui non fosse già stata diagnosticata l’infezione da coronavirus. In entrambi i casi lo scienziato britannico ha risposto che i rilievi, pur pertinenti, risultavano ininfluenti sul risultato finale, ossia sulla rappresentazione della progressione del contagio. 

Il professor Alexander Homers, del prestigioso King’s College di Londra, commentando i dati relativi alla minore mortalità del virus in Germania (ferma restando la velocità di contagio) ha esposto i dati relativi ai posti letto per persona. In Germania sono otto per ogni 1000 abitanti mentre in Italia sono tre, negli Stati Uniti meno di tre e nel Regno Unito due e mezzo.

La Germania è prima anche per posti letto di terapia intensiva ICU (Intensive Care Units) stando ai dati pubblicati da critical care.

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Ciò che appare più rilevante è che proiezioni analoghe a quelle di Handley sono state twittate nella discussione da altri studiosi ed analisti, con ciò confermando la bontà del metodo e la drammaticità della situazione.  

L’italiana Silvia Merler, della John Hopkins University, membra del think-thank economico Bruegel con sede a Bruxelles, innanzi alla univocità dei risultati delle analisi matematico statistiche, ha commentato “in italia abbiamo atteso troppo per prendere misure drastiche, Spagna, Germania, Stati Uniti e Regno Unito dovrebbero davvero al più presto attuare politiche aggressive contro il contagio”.

In Germania, dove i casi di contagio sono giunti a quota 1300, la ex cancelliera Angela Merkel pare aver lanciato il grido d’allarme, dichiarando: “si ammalerà il 60/70% dei tedeschi”. Nonostante abbiano avuto il vantaggio di poter assistere a quanto accadeva in Italia, i tedeschi stanno affrontando l’emergenza con una pacatezza che lascia perplessi. Si pensi che ancora lunedì i Lander discutevano sulla limitazione degli assembramenti e nessuna severa misura era stata ancora assunta in ordine alla restrizione delle occasioni di contatto interpersonale. Paolo Valentino in un bellissimo editoriale sulle pagine online del Corriere della Sera ha scritto: “Ho un problema con la Germania. O forse la Germania ha un problema con se stessa“, poi, concludendo, “la domanda è: quanta emergenza occorre perché anche a Berlino si rendano conto che forse stanno giocando col fuoco?

Anche nel Regno Unito, dove i casi sono a quota quattrocento, stentano a decollare misure drastiche per limitare l’avanzata del contagio, che oramai è chiaro essere violenta e capillare, tanto che  l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha ufficialmente classificata pandemia.

In Italia il temporeggiamento del governo nell’adozione di misure severe per il contenimento del contagio è stato ascritto alla inesperienza politica del Presidente del Consiglio, di buona parte dei suoi Ministri e della maggioranza dei parlamentari stessi. Il tentennamento degli altri paesi europei e del mondo, tuttavia, lascia spazio ad almeno due considerazioni.

La prima induce a concedere un’assoluzione dalle accuse o almeno un’attenuante al Governo Conte, trovatosi a fronteggiare una situazione di gravità straordinaria, che anche gli altri stati democratici coinvolti, pur governati da personaggi di maggior peso ed esperienza politica, faticano a fronteggiare.

La seconda considerazione è più un interrogativo silente, un tarlo che agita le nostre sicurezze e la fiducia nel progresso che pensiamo (o pensavamo) di aver raggiunto: è possibile che paesi avanzati, dotati di risorse intellettuali e finanziarie oltre che di mezzi tecnologici di avanguardia, possano farsi sorprendere e restare così a lungo inermi innanzi all’avanzata transcontinentale di un virus di elevata contagiosità? La lenta reazione dei governi è il frutto di un approccio culturale (quale, ad esempio, potrebbe essere quello del mito della globalizzazione di cui su queste colonne ha scritto Giancristiano Desiderio) o si tratta di un atteggiamento estremamente razionale, da real politik, tipico dei tempi di guerra quando è necessaria normalità assumere decisioni di tipo out/out tra male peggiore e male minore?