Derubricare gli scontri di Napoli ad affari tra camorristi non aiuterà nessuno, neanche De Luca
Una sola cosa sembrava sicura durante i fatti di venerdì notte che hanno coinvolto la città di Napoli: la corsa che ci sarebbe stata per etichettare il fenomeno. Tuttavia, a dispetto del diffuso malcostume di gran parte della italica stampa di usare tag per semplificare concetti assai più complessi, almeno in questo caso, è stato concesso un livello di analisi più profondo, che non lascia in disparte un problema che, disgraziatamente, per molti si configura come addirittura più reale di un pericolosissimo, ma pur sempre effimero, virus: la paura di morire strozzati dai debiti, ad esempio; di finire travolti e falcidiati da un’economia debolissima da anni e provatissima da mesi; di fallire.
Al netto della “ferma condanna della violenza” (perché sarai anche povero o starai diventando povero, ma ti saremo solidali solo se muori di fame con compostezza) nessuno si è sognato di derubricare gli scontri di venerdì a roba-di-camorristi-e/o-di-ultras-che-poi-sono-la-stessa-cosa.
Si è parlato di infiltrazioni, certo. Ci si augura che ci si rifletta, in ogni caso, su quello che è un disagio sociale che potrebbe unire diversi strati sociali della città; e delle città. Ma a nessuno è venuto in mente di azzardare una tale, cieca banalizzazione. Tranne a una persona. Una persona che, se non altro per il ruolo che riveste, avrebbe l’obbligo di conoscere la complessa realtà di Napoli, dal momento che resta il capoluogo della regione che amministra.
E invece no. Fa la sua uscita dal solito prono intrattenitore del servizio pubblico (sic!), evidentemente augurandosi di diventare protagonista di un nuovo meme per dare vigore a una popolarità ormai definitivamente scalfita, parlando di collusioni tra camorra, cani sciolti e destra eversiva (chi scrive, si rifiuta di riportare il linguaggio perché non ci trova veramente niente di divertente) alla base di quello che, in verità, in città sta accadendo da giorni.
Lui, l’uomo che si attribuisce un miracolo sanitario reso possibile esclusivamente da circostanze esterne (basti guardare a cosa sta accadendo adesso) e pubblicizzato a botte di dirette Facebook, scoppi di ira e shaming contro gli abitanti di quella città che, evidentemente, non conosce. Perché se la conoscesse, si sarebbe guardato bene anche solo dal nominare Bagnoli: se non altro per decenza, dato che sono decenni che gli abitanti del detto quartiere aspettano una bonifica che sancisca il loro diritto alla salute. E invece…
Lui si presenta brillante a dire che sono tutti camorristi: e, a questo punto, la domanda sorge spontanea. E se anche fosse? Non sarebbe, forse, ancora più preoccupante?
Ammettiamo che abbia ragione l’inflessibile governatore della Campania: che venerdì sera in piazza ci fossero esclusivamente facinorosi riconducibili alle maglie della criminalità organizzata; ammettiamolo, naturalmente, grazie alla condanna impartita da un processo che, nella migliore tradizione deluchiana, si è svolto esclusivamente su Facebook, durante il fine settimana. A questo punto, non dovremmo tremare ancor più di paura? Non andrebbe detto al governatore che questo è ancor più spaventoso che pensare che si tratti esclusivamente della rabbia di cittadini onesti esasperati?
Perché, forse, il cittadino esasperato puoi riportarlo a più miti consigli: se, invece, si tratta di persone legate alla camorra, allora c’è davvero da preoccuparsi. Per chi vorrebbe vivere decentemente, s’intende. Ma anche per chi ha acceso la miccia, cercando di sfruttare un divide et impera tra poveracci terrorizzati che, evidentemente, va verso il fallimento totale.