Col Covid-19 tramonta l’egemonia Usa

Ci avete fatto caso? Per la prima volta nella storia di cui noi siamo testimoni, gli Stati Uniti non esercitano il ruolo di leadership nel contesto di una crisi globale. Probabilmente, ma questo lo scopriremo a posteriori, si tratta del momento chiave di quel processo noto agli studiosi come lo shift of power, ovvero lo spostamento degli equilibri economici e politici delle singole potenze verso altre potenze. In questo caso dall’Occidente americano alle economie emergenti.


Senza addentrarci nella previsione delle conseguenze che questa crisi da Covid-19 provocherà sulle economie mondiali, che lasciamo agli esperti, limitiamoci alla sola osservazione dello spostamento dell’egemonia politica-economica in atto. 

Gli esiti della seconda guerra mondiale avevano decretato gli Stati Uniti come la prima potenza globale, ma da queste alture il Paese ha cominciato lentamente a discendere già dal miracolo economico della Germania e del Giappone, negli anni ’60 e ’70, e successivamente dall’ascesa delle potenze asiatiche. Una spinta ulteriore si è avuta con il crollo dell’Unione Sovietica.

Negli ultimi decenni, alla leadership americana consacrata anche da alcune istituzioni come l’Onu, il Fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale, la Nato, sono state ‘affiancate’ i vari G20, Bce, Banca di Investimento asiatica e il Consiglio di cooperazione di Shangai.

Nei fatti, nel dibattito giornalistico e politico più avanzato spesso ci si interroga sull’utilità di una istituzione come quella delle Nazioni Unite. Persino il presidente Usa Donald Trump quando nel 2017 aveva minacciato rappresaglie contro i Paesi contrari alla sua decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, sostanzialmente stava minacciando una fuoriuscita dall’Onu. 

Il ‘900 è stato il secolo americano, gli anni che stiamo vivendo stanno progressivamente perdendo questo carattere. L’impennata data a tale processo dalle politiche isolazioniste e protezionistiche di Trump è determinante. La compenetrazione degli scambi di ogni genere, come le materie prime, i prodotti finanziari o finanche le persone, è talmente elevata che tagliare quei fili invisibili che legano ciascun Paese al mercato mondiale significa condannare se stessi. Senza considerare che quando si impongono limitazioni, come i dazi, in cambio si ricevono misure analoghe. (Secondo i dati del Global trade Alert, nel 2017 Washington ha imposto 1355 misure restrittive, subendone 2429, cui prodest?). 

Allo stato attuale, alla Casa Bianca sembra esserci assoluta incomprensione degli sviluppi in corso. Le iniziative dell’amministrazione statunitense in questo momento stanno tagliando il Paese fuori dall’esercizio del potere politico a livello internazionale, a vantaggio prima di tutti della Cina. 
Anche lo stralcio del TPP (Trans-Pacific Partnership) è stato un generoso regalo a Pechino, che con la ‘via della seta’ ora esercita la propria supremazia nel ‘libero scambio’. 

Guardando al fronte mediorientale, lì Trump ha il solo obiettivo di neutralizzare le politiche del suo predecessore Barack Obama e, nei fatti, il parziale ritiro da quelle aree, dall’Afghanistan e dall’Asia Orientale, unito all’appoggio delle politiche nazionaliste di Benjamin Netanyahu, premier di Israele, fanno sì che il Medio Oriente diventi appannaggio dei puri rapporti di forza tra gli attori istituzionali meno affidabili dell’area, a cui va aggiunta Mosca.

Dal 1945 a oggi l’equilibrio mondiale ha sempre contato sugli Stati Uniti. In Europa ora la palla passa a Berlino, Parigi e persino Mosca. A livello globale, lo si vedrà. E se l’egemonia americana è ormai un fenomeno da raccontare nei libri di storia, questa epidemia da coronavirus potrebbe costituire l’elemento determinante del nuovo assetto geopolitico mondiale. Il tramonto dell’Occidente.