Favola a chilometro zero con retrogusto di pernacchio

Cercavo una favola bella in un giorno di pioggia. Lussemburgo è brutta col sole, di una bruttezza sconcia, tipo Casavatore incrociata con Doha, sciorina spavalda uno stile architettonico che definirei tardo-beduino tamarrazzo. Insomma una pioggia, fine, costante, lieve e gelata funge da opportuna sordina al rutilante riverbero dei palazzi sconci, ricoperti d’oro come i cessi dei camorristi di Ostia. E io cerco sempre favole nei posti brutti, come bottiglie di vino straordinarie alla Lidl: una sfida dispettosa e vana, a suo modo disperata e miseramente eroica.

E, così, dopo aver ordinato in libreria un giallo che non avrei letto, entro in un negozio di nuova apertura dedicato a prodotti locali, trasudanti anch’essi di lusso pacchiano: il posto ideale per scovare il raggio verde perduto al crepuscolo. Mi avvio subito alle scaffalature dei vini e l’occhio ormai avvezzo del vecchio bevitore cade sull’etichetta balzana, dalla grafica moderna e finto-antica al contempo: vintage, come direbbero a Casavatore. Chiedo alla solerte commessa lumi sull’artefice della bottiglia.

E parola dopo parola gli occhi cominciano a brillare con l’emozione del rattusone sedicenne nelle notti insonni su Canale 21 quando spariva il logo. Gli ingredienti della favola acchilometrozzero ci sono tutti: il giovane contadino, neorurale ribelle che torna alla terra, ma non sulla Mosella – landa solare del riesling –, troppo facile. Si torna sulla Sauer, sulle rive di un fiume impetuoso che scorre in una valle buia e fredda, a coltivare il pinot nero, vitigno scontroso, difficile, elitario. Per creare “vini unici in Lussemburgo diversi dal solito” (sic).

Ormai completamente abbacinato e malgrado la carta di credito appena bloccata dalla banca, mi lancio impavido nell’acquisto dell’oscuro oggetto del desiderio a soli 28 euro, sorriso plasticato compreso.

Stappo subito, la sera stessa a cena, fiducioso, speranzoso, mulinando intrepido il sacro tirabucio’ come la spada laser di Darth Vader. Bicchierone tipo Sacro Graal pronto sulla tavola ad accogliere la pozione magica: il colore è in linea con le attese, rosa carico molto trasparente, gli aromi sommessi e aggraziati fanno strada a un sorso interlocutorio, in fondo non infame ma neanche spettacolare, un po’ anonimo, tipo ultrafiltrato a 400 micron, espressivo come il buon vecchio Ken della Mattel.

Spero in una prima fallace sensazione. Faccio, dunque, roteare con gesto sapiente il vino per ossigenare e piano piano intravvedo sul fondo del bicchiere le prime lettere che emergono sempre più nitide sino a svelare un chiarissimo: “torzone ci sei cascato ancora!”. Credo sia stato il peggiore vino della mia vita; un vino convenzionale, fatto male, cercando di imitare alcune caratteristiche di un prodotto non omologato: amaro senza essere acido, dolciastro, scollato, scomposto, con un retrogusto di pernacchio alla mia dabbenaggine. Non è più tempo di favole, ma di lestofanti e impostori… accchilomerrozzero naturalmente!