L’insurrezione di Marco Guzzi tra vita ed opera

Difficile trovare una figura analoga nel panorama contemporaneo, non solo italiano. Difficile, dunque, fare confronti. Il percorso di Marco Guzzi effettivamente sfugge a qualunque tentativo di catalogazione e di inquadramento. Probabilmente questo è uno dei motivi del fascino che promana dalle pagine indefinibili che mescolano poesia e visione, psicoanalisi e spiritualità.

Arrivato alla ribalta televisiva negli ultimi due anni, in realtà Guzzi avrebbe potuto avere una brillante carriera alla Rai: nel 1985 iniziò a condurre “3131 Notte”, «un’esperienza di creatività culturale e linguistica». Il poeta e filosofo romano spiega, ne La vita è l’opera. Una biografia (Edizioni Paoline, 2020), un vero e proprio bilancio di un percorso oramai lungo, come questo progetto di rinnovamento dei linguaggi mediatici si sia esaurito, in coincidenza con una devastante crisi personale (poi rivelatasi palingenetica) alla fine degli anni Novanta.

In realtà, la vicenda (che solo in maniera riduttiva possiamo definire intellettuale) di Guzzi, dipanatasi nell’incontro con vari maestri (il primo dei quali riconosciuto è Nietzsche) e nel rifiuto dello specialismo, inizia con la volontà spasmodica di «diventare il poeta che avrei voluto incontrare». E la parola poeta indicherà sempre molto più che un’arte o un genere, come ci ha insegnato un altro maestro decisivo, cioè Martin Heidegger.

E come poeta Guzzi appare sicuramente una delle voci più originali non solo della sua generazione, erede certo di un filone ermetico-simbolico riccamente presente nel Novecento italiano (e non appare dunque casuale il rapporto con Mario Luzi), ma capace di collocarsi in un orizzonte molto ampio che da Hölderlin attraverso Rimbaud arriva a Thomas, Char, Celan, Bonnefoy, una poesia che dismette la sua dimensione letteraria per farsi profezia (i due libri decisivi da questo punto di vista di Guzzi sono L’uomo nascente, Red, 1997, rieditato con il titolo L’insurrezione dell’umanità nascente, Edizioni Paoline, 2015, e La profezia dei poeti, Moretti & Vitali, 2002). Questo percorso poetico, avviatosi con Il Giorno (Scheiwiller, 1988), è antologizzato in Parole per nascere. Poesie di un nuovo inizio (Edizioni Paoline, 2014).

Coniugando in maniera ardita il lascito dell’ultimo Heidegger con un cristianesimo “incarnato” e partecipe del proprio tempo, Guzzi fa della poesia annunzio di un rivolgimento apocalittico-rivelativo (definito utilizzando Hölderlin «il Giorno»), le cui tracce sono già visibili in un presente dove le crisi (economica, energetica, psichica e ambientale) annunziano la gestazione di un’umanità rinnovata («il Nascente»). Di qui la necessità dell’ascolto (del «Secondo Appello»), la presenza nei versi di «un’altra voce». Quella che stiamo vivendo, come Guzzi (tra i pochissimi ad utilizzare in maniera sapiente ed efficace anche i social media) ricorda costantemente in questi giorni, è una catastrofe potenzialmente rigenerativa, che archivi un’umanità belluina e materialista.

Direttore di una collana originalissima delle Edizioni Paoline (Crocevia), Guzzi, pur essendo richiestissima “guida” di incontri spirituali anche da parte di ordini religiosi, appare portatore di un cristianesimo capace di fecondarsi nell’incontro con «le sapienze non cristiane» ma che rivendica la sua unicità in quanto evento non solo storico ma trasformativo della storia stessa: «La storia va assunta per essere redenta». Sullo sfondo, ambiziosissimo, il sogno di un rinnovamento della Chiesa «che richiederà conversioni e trasformazioni immense di tante strutture mentali e istituzionali».

E per questo che, in uno svolgimento “incarnato”, Guzzi ha avviato, dopo la sua grande crisi personale, rigenerativa, una pratica unica in Italia dei gruppi “Darsi pace, che all’autore appaiono in questo momento «l’esperienza fondamentale» della sua vita: «Volevo edificare un luogo d’incontro e di apprendimento in cui non venisse rimosso il dolore profondo che ci abita, ma fosse invece accolto e curato». Una vera e proprio logoterapia che, attingendo alla analisi junghiana e alla poesia, alla meditazione e alla filosofia, vuole indurre una μετάνοια (metanoia, cambiamento di forma mentis) che faccia dell’individuo «sano e salvo» lievito nelle comunità storica.

Guzzi è uno dei pochi intellettuali a rimettere in circolo una parola “dannata”: rivoluzione: «Il termine Rivoluzione va infatti assolutamente recuperato, purificandolo dalle deformazioni, dalle limitazioni concettuali e dalle violenze in cui lo abbiamo interpretato negli ultimi trecento anni» (“Prefazione” a Nicola Sguera, In quieta ricerca, Percorsi, 2012).

“Darsi pace”, «movimento di liberazione interiore per la trasformazione del mondo», è anche il tramite dell’ultimo tappa, quella più ambiziosa e rischiosa del poeta-filosofo. Se la politica occidentale è giunta al suo stato terminale, con il dominio ancora incontrastato di «forze regressive e cieche, che tuttora si pongono a difesa di un sistema di mercato e finanziario che è proprio l’ultima espressione, la più devastante, dell’uomo bellico», appare ungente un’«insurrezione del Nascente» che consenta di andare oltre la “desolazione” del presente. Poiché la svolta antropologica in atto è di portata epocale, è evidente che anche le trasformazioni politiche saranno lente. Tutti i tentativi, infatti, di accelerare il passaggio nel corso del XX secolo anziché trans-figurare l’uomo, l’hanno s-figurato, degenerando le rivoluzioni in orrende distopie.

La “buona novella” che l’intera opera di Marco Guzzi annunzia è che siamo pronti: a diventare un’umanità più relazionale e pacifica, “cosmo-teandrica”, intimamente consapevole del nesso che lega uomo e mondo, uomo e uomo.

A chiudere questa sintesi suggestiva di un percorso oramai ultratrentennale di ricerca, studio, creazione, proposta una poesia, Battesimo di fuoco:


Benedire il giorno
Benedire il giorno
Della propria nascita
Non è un evento naturale,
Ci vuole una corrente surreale
Su per la schiena:
Un cambio d’occhi.
Ci vuole un refrigerio
Più che umano.
Ci vuole una mano che ti salva
[…]

***
Il disegno, come i precedenti che accompagnano i contributi di Nicola Sguera, è di Ferdinando Silvestri: laureato in fisica, ha capito da un pezzo che la sua strada è quella delle matite. Quando non disegna, divide la sua vita tra famiglia, karate e lettura.