Scuola: trasformare la catastrofe in opportunità

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha confermato in un’intervista a «Repubblica» (del 26.4.2020) ciò che già ufficiosamente era noto agli operatori scolastici, e che cioè le scuole non riapriranno a maggio.

Si prosegue, dunque, con la DaD. Quando sarà possibile una ricostruzione sine ira ac studio di quanto accaduto nella scuola italiana a partire dalla prima settimana di marzo sicuramente saranno visibili una serie di fasi che hanno scandito la storia della “didattica a distanza”.

L’acronimo DaD indica un’esperienza emergenziale ma che è realistico pensare entrerà a pieno titolo nella prassi didattica ordinaria. Per questo è necessario capire quali sono i problemi che essa pone e come risolverli.

Si può ragionevolmente pensare ci sia stata una prima fase della DaD, in cui le scuole si sono mosse con molta autonomia e scarsissime indicazioni ministeriali, fondandosi sul senso del dovere del corpo docente e l’iniziativa dei Dirigenti scolastici. Questa fase è stata caratterizzata da esperienze innovative ma anche da ingiustificabili squilibri tra territori e, all’interno dei territori, tra scuola e scuola, esacerbando pertanto, in alcuni casi, il problema della dispersione scolastica (soprattutto negli istituti professionali). Potremmo dire che il merito di questa stagione “pioneristica” è stato quello di evidenziare la necessità di costruire condizioni di partenza uguali per tutti gli studenti sia in termini di connettività (dichiarazione di Conte) sia di device a disposizione.

In questa fase molti docenti, secondo le indicazioni ministeriali, hanno privilegiato un’azione non burocratica, capace di valorizzare la classe come micro-comunità. La conseguenza logica è che la maggior parte degli istituti hanno privilegiato una valutazione di tipo formativo.

La seconda fase della DaD prende avvio con il D.L dell’8 aprile 2020 che sancisce l’obbligo non solo di attivarla da parte dei D.S. ma di attuarla anche da parte dei docenti. In molti collegi dei docenti si è amplificato il malessere già presente di agire in una sorta di vuoto normativo o di norme discutibili.

In questi giorni è stato approvato il D.L n. 18 (non ancora in G.U.) con una novità fondamentale, che modifica ulteriormente il profilo della DaD, allontanandola dallo spirito delle origini. Infatti l’articolo 87, comma 3 ter, dispone che la valutazione degli apprendimenti, periodica e finale, oggetto dell’attività didattica svolta a distanza nell’anno scolastico 2019/20, produce gli stessi effetti della valutazione in presenza. È evidente, dunque, che ora per le scuole si ponga un serio problema che ci si augura possa avere indicazioni più stringenti da parte del MIUR per evitare disparità eccessiva e garantire un minimo di omogeneità sul territorio nazionale.

La questione di fondo, nella didattica a distanza, rispetto alla valutazione delle singole prestazione è la loro attendibilità da una parte (come faccio ad esser certo che la versione di latino non sia stata copiata o fatta con l’aiuto di un familiare?) e di praticabilità (come faccio a valutare discipline “pratiche” soprattutto negli Istituti professionali?). È evidente, dunque, che le scuole tenderanno a valorizzare, integrando il Piano dell’Offerta Formativa con indicazioni specifiche in tal senso, al momento degli scrutini, il profilo complessivo dell’alunno nel suo percorso pluriennale, la valutazione della prima fase dell’anno (trimestre o quadrimestre) e il suo comportamento complessivo all’interno della DaD (in termini, ad esempio, di partecipazione attiva e rispetto delle consegne). Ciò nonostante, soprattutto ove sia presente l’attribuzione del “credito” (nel triennio delle superiori) che concorrerà al voto finale dell’Esame di Stato (nella misura di 40 punti su 100) non è da escludersi una messe di ricorsi da parte di genitori insoddisfatti.

Questione delicatissima, poi, quella degli Esami di Stato. Dopo aver tendenzialmente escluso che tutti gli alunni tornassero a scuola, il Ministro Azzolina, probabilmente in seguito a richieste di pezzi di maggioranza e di opposizione, ha avviato le procedure per tentare un esame semplificato (con la sola prova orale e la commissione tutta di membri interni con il solo Presidente esterno) “dal vivo”. Una scelta oggettivamente costosa e rischiosa, per altro tenendo conto delle enormi differenze regionali sull’epidemia e la sua regressione. Inoltre, ci si chiede se lo Stato potrà affrontare la messa in sicurezza di tutte le scuole coinvolte: si pensi solo ai pannelli in plexiglass per separare i banchi dei docenti della commissione o agli strumenti per controllare la temperatura corporea. Insomma, il gioco vale la candela? Alcuni paesi europei hanno annunziato con largo anticipo l’annullamento dell’Esame di Stato (Olanda, l’Inghilterra, Svezia, Danimarca, Francia).

Intanto, in vista del prossimo anno scolastico, Azzolina ha annunziato la creazione di un Comitato di 18 esperti (il nome più celebre è quello dello storico del cristianesimo Alberto Melloni), costituito da esperti in vari ambiti (diritto, pedagogia, pediatria, psicologia) oltre che dirigenti scolastici e docenti.

Moltissime le questioni da affrontare: quando e come ripartire? In che modalità farlo? Proseguire l’esperienza della DaD in vista di una possibile recrudescenza autunnale del virus? È evidente che si navighi a vista. Dirimente la scoperta di un vaccino e la copertura vaccinale dell’intera popolazione scolastica per prevedere la “normalità”. Lo scenario, però, più realistico è quello di una soluzione mista che però passa attraverso una scelta che apparirà quasi certamente obbligata (e porrà giganteschi problemi in ordine al corpo docente stante il rinvio dei concorsi ordinario e straordinario e la necessità già ai calcoli attuali di 200.000 docenti per sostituire i pensionati): ridurre drasticamente le classi per consentire di rispettare le norme sul distanziamento. È ipotizzabile che, affidando l’esecuzione alle singole scuole, molto diverse in termini strutturali, si integrino attività in presenza per piccoli gruppi con la prosecuzione della DaD, soprattutto per quella che è la classica “lezione frontale” e trasmissiva.

Come in tutti gli altri ambiti delle nostre vite, insomma, esiste una scuola “prima” e una scuola “dopo” il Coronavirus. Niente sarà come prima.

Nei mesi estivi è doveroso che tutta la comunità scolastica – non solo i vertici – si interroghi su come trasformare una catastrofe in opportunità, soprattutto dopo la scoperta che l’aspetto emotivo e sociale-relazionale costituiscono ciò per cui la rete, nella sua ricchezza, e le macchine non potranno mai sostituire la funzione di un docente e della vita scolastica “vivente”. È possibile, dunque, anche che una crisi metta in crisi definitivamente un paradigma scolastico mutuato dal funzionamento delle aziende che ha dominato l’immaginario collettivo a partire dalla metà degli anni Novanta a sinistra come a destra.

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Il disegno, come i precedenti che accompagnano i contributi di Nicola Sguera, è di Ferdinando Silvestri: laureato in fisica, ha capito da un pezzo che la sua strada è quella delle matite. Quando non disegna, divide la sua vita tra famiglia, karate e lettura.