Disegnare processi: riflessioni sul nuovo ponte di Genova

La città di Genova sembra ricucita. Qualche giorno fa l’ultima trave del nuovo viadotto sul Polcevere è stata posata, ripristinando quel collegamento interrotto dal crollo avvenuto nella vigilia di ferragosto del 2018.

Il crollo del Ponte di Morandi fu una tragedia ampiamente dibattuta dai mass media e la vicenda della ricostruzione sembra oggi al punto di chiudersi in modo particolarmente virtuoso. In tempi record rispetto agli standard italiani, la città sta già incorporando nel suo paesaggio la nuova infrastruttura, dalle prestazioni garantite per il prossimo millennio. Al di sotto, un progetto di riqualificazione urbana, vincitore del concorso indetto dal Comune: il Parco del Polcevera e il Cerchio Rosso, del team di Stefano Boeri Architetti / Metrogramma / Inside Outside.

Non è lo scopo di questa analisi fare considerazioni sulla qualità del progetto realizzato, ma su quella del processo attuato.

C’è un dettaglio significativo: il progetto del nuovo ponte è stato donato a Genova, la sua città, dall’architetto Renzo Piano.

Un’iniziativa che ha generato numerose polemiche tra gli architetti, sia rispetto alla pratica diffusa in Italia di elargire prestazioni e progetti a titolo gratuito, sia rispetto all’assenza stessa di un concorso.

Il tema è che Renzo Piano non è solo architetto, ma anche senatore a vita, e ha donato alla sua città un progetto preliminare cogliendo l’occasione di agire mediaticamente sull’opera più discussa degli ultimi anni. Ma l’egocentrismo da archistar si coniuga alla cultura di un architetto sapiente, che pure al centro della celebrazione mediatica ha riconosciuto come la realizzazione di una infrastruttura sia un lavoro collettivo.

In TV, con Fazio, ha menzionato i rammendi, postulato operativo del G124, il gruppo di lavoro sulle periferie che il senatore a vita ha creato mettendo a disposizione il suo compenso allo scopo di lavorare alla riqualificazione delle aree periferiche identificate come futuro delle nostre città.

Un elemento accomuna queste due azioni filantropiche, il dono di un progetto e la creazione di un laboratorio/studio sulle periferie: sono entrambe azioni circoscritte, non strutture di processi replicabili.

La strategia della beneficenza puntuale appare quanto mai singolare se adottata da chi ha il potere di legiferare e, conseguentemente, di attivare nuovi modus operandi.

Nel celebre saggio, La cèntina e l’arco. Pensiero, teoria, progetto in architettura, Martí Arís rapporta teoria e pratica in architettura attraverso una metafora: la teoria sta all’opera architettonica come la centina sta ai suoi conci. La stessa metafora è scalabile alla costruzione dei processi che portano alla realizzazione di un progetto.

Un architetto ai vertici dei poteri decisionali potrebbe disegnare processi, occuparsi della centina, oltre che del taglio delle pietre dell’arco.

In architettura, come nella pianificazione e nel Geodesign, la scala conta: dal manufatto architettonico a un quartiere, o a una città, entrano in gioco fattori diversi, che le scelte progettuali modificano profondamente. Un elemento comune sottende la qualità dei risultati: i processi di fondo.

La vicenda del ponte di Genova gestita da Piano rimarca l’assenza in Italia di una legge sull’architettura, che invece in Francia esiste dal 1977. E mentre lamentiamo l’assenza di una legge sull’architettura, abbiamo, al contempo, un senatore architetto, sensibile alla sostenibilità e alla poesia del costruire, che dona progetti e team di lavoro al paese, ma che non utilizza la sua posizione politica per avviare azioni legislative volte a colmare immense lacune strutturali.

Il progetto offerto da Renzo Piano avrà funzionato da acceleratore, avrà fatto risparmiare un po’ di fondi alla Pubblica Amministrazione, avrà curato rapidamente una ferita aperta, ma ha confermato un certo modo eccezionale di fare architettura in Italia.

Non la stessa eccezionalità che diede la possibilità proprio al gruppo Piano, Rogers, Franchini di realizzare a Parigi il Centre Pompidou. 

La vicenda del ponte si colloca in questo difficile contesto culturale.

Nonostante tutto, questa opera pubblica alimenta un po’ di spirito ottimista in questo periodo complicato. E da questa vicenda auspichiamo che, magari, con processi aperti e strutturati, la celerità della ricostruzione del Ponte di Genova e l’eccellenza del concorso del Parco siano replicate nelle numerose aree fragili del paese, molte in attesa di interventi risolutori da decenni.