Il virus nel polmone della Terra

Maggio 2020. Lungo una strada che attraversa lo Stato del Mato Grosso in Brasile è apparso uno striscione: “Chiunque sia nostro vero amico conosce la nostra fragilità. Teniamo il coronavirus lontano dai villaggi”.

1517-18. L’imperatore azteco Motecuhzoma II viene informato dell’arrivo di bizzarri stranieri sulla costa messicana. Gli uomini della prima invasione, guidata da Cortés, cavalcano ignoti animali a quattro zampe e usano bastoni che sputano fuoco. L’imperatore è un uomo mediocre e superstizioso. Si convince che potrebbe trattarsi del ritorno sulla terra del dio-uccello Quetzalcóatl.

25 novembre 1520. Cuitláhauac, fratello di Montezuma, muore di vaiolo. Gli indigeni non sapevano cosa fosse il vaiolo.

Le malattie infettive sono dappertutto, sono uno dei meccanismi fondamentali della natura come la predazione, la competizione, la decomposizione e la fotosintesi. I virus sono una sorta di collante che tiene legato un individuo ad un altro, una specie a un’altra. Le condizioni del loro agire non sono però sempre comprensibili. Proprio come i predatori, anche i patogeni hanno le loro prede preferite. Un leone, per esempio, può uccidere una mucca anziché uno gnu, o un essere umano anziché una zebra. Anche i patogeni possono scegliere un altro bersaglio. Si parla di zoonosi nel caso in cui avviene un salto di specie di un patogeno.

Ebola è una zoonosi, come la peste bubbonica. Lo era l’influenza spagnola del 1918-19, che si originò in una specie di uccello acquatico selvatico e che finì con l’uccidere cinquanta milioni di persone. Tutti i tipi di influenza umane lo sono, così è, pare, anche il Covid-19, che attacca ferocemente il sistema respiratorio umano.

1979. Lo scienziato J. Lovelock avanza l’ipotesi che la Terra sia da considerarsi un unico sistema vivente a cui dà il nome di Gaia.

Quindi, chi mette a repentaglio il sistema respiratorio di Gaia è un patogeno? L’attuale malattia al polmone della Terra è causata da un virus, e qual è il nome di questo virus?

1985. M.D. Grmek introduce il concetto di patocenosi per descrivere l’intero complesso di condizioni patologiche esistenti in una popolazione in un particolare periodo storico. Mentre dal 500 a.C. al 1200 d.C. nelle zone civilizzate dell’Eurasia si verificò un’integrazione di serbatoi virali, nel continente Americano ciò non avvenne.

La conquista delle Americhe fu la più grande guerra batteriologica della storia. Gli europei portarono con sè una lista di morbi infinita: vaiolo, morbillo, peste, influenza, salmonella, scarlattina, varicella. Da una popolazione stimata di 20 milioni, in mezzo secolo i sopravvissuti furono tre milioni.

Estate 2019. L’Amazzonia brucia. Non solo siccità e incendi naturali. Sostenuto dal Presidente Bolsonaro, l’attacco delle grandi imprese agroalimentari al polmone verde del pianeta mette a repentaglio la vita degli indigeni.

«Il grande scandalo è che la foresta brucia, gridano gli occidentali», dice Roland Polanco, ex deputato, «ma è per darvi la soia e la carne; l’Italia nell’ultimo anno ha importato 25 tonnellate di bue verde amazzonico».

È o non è un virus a fare tutto questo?

2015-20. Il fotografo Giovanni Marrozzini racconta l’esistenza dei popoli amazzonici. Assediati dai taglialegna, invasi da cercatori d’oro, usurpati dalla compagnie petrolifere; ma sono anche il simbolo di un approccio all’ecoesistenza in contrasto con quello artificiale del “Popolo della merce”, come ci definisce Davi Kopenawa.

Marrozzini è stato in Perù tra i Kukama, in Venezuela tra i Pemón e nella foresta brasiliana con gli Yanomani e con i Dessana. A fine aprile sarebbe dovuto partire per un viaggio in battello di due mesi lungo il Rio Negro con uno scalo anche a São Gabriel da Cachoeira, dove avrebbe raccontato l’ignobile turismo minorile e dove è stato registrato il primo caso di contagio di coronavirus tra gli indigeni brasiliani. All’ospedale di São Gabriel non ci sono ventilatori e un paziente che si trovasse in gravi condizioni dovrebbe essere trasferito a Manaus, mille chilometri e tre giorni di viaggio in barca.

1974. Carlo Zacquini, indigenista della Missione Consolata tra gli Yanonami, assiste alla costruzione della Perimetrale Nord che, insieme alla “civiltà”, porta anche un’epidemia di morbillo che causa una strage tra gli indios. In quei giorni, Zacquini cammina senza sosta attraverso la foresta trovandosi davanti a un paesaggio spaventoso. Arrivato in un villaggio sperduto, trovò i sopravvissuti di quattro comunità. La popolazione si era dimezzata.

Aprile 2020. “Oggi la storia sembra ripetersi”, afferma Zacquini, “un operatore sanitario, autista degli Yanomani, è morto di Covid-19”.

È di qualche giorno fa la notizia dalla prima vittima tra gli Yanomani, Alvanei Xirixana, 15 anni, malnutrito, anemico, malarico. Queste sono popolazioni che hanno subito violenze inauditi raccontate dal ministro Figueredo nel 1965 nel Libro Bianco: i Tapaunas «spazzati via da “donazioni” di zucchero impregnate di arsenico»; le comunità di Pataxó «infettate col vaiolo».

9 marzo 2020. A Marabà, in Brasile, il regista svizzero Milo Rau allestisce le prove di Antigone in Amazzonia, il nuovo progetto con il Movimento dei Lavoratori Senza Terra e delle popolazioni indigene.

«È difficile», spiega il regista, «trovare un progetto più adatto alla tragedia di Sofocle per la battaglia culturale in Brasile. Una battaglia che ha preso le sembianze di una guerra civile tra il presidente Bolsonaro, alleato delle grandi imprese agroalimentari, e la sua popolazione». Antigone è la storia del tiranno Creonte, che vuole mantenere il potere a tutti i costi, e di Antigone che gli si oppone.

Aprile 2020. Le prove di Antigone in Amazzonia sono state sospese causa Covid-19. Dopo aver passato un periodo di quarantena in una stanza d’albergo, Milo Rau è tornato in Europa.

«Molte sono le mostruosità, ma nulla è più mostruoso dell’uomo» recita il primo stasimo dell’Antigone.

Qual è, dunque, il nome del virus che ha infettato i polmoni di Gaia?