Fear Inoculum, il ritorno dei Tool

Anni d’attesa per mesi d’ascolto, con questa simmetria è possibile identificare Fear Inoculum dei Tool, disco uscito più di otto mesi fa, ossia un’era geologica fa in relazione ai ritmi che il contemporaneo streaming musicale impone. Ma quando ci si approccia a una band come i Tool il fattore tempo non è il primo a essere considerato. Fear Inoculum, infatti, arriva a ben tredici anni di distanza da 10,000 Days, tredici anni in cui i cambiamenti in ambito musicale sono stati molteplici: dall’ascolto su supporto fisico si è passati all’esplosione della musica liquida e al ritorno del vinile. Così, il 30 agosto 2019, nei negozi di dischi compare un cofanetto particolare sul cui lato è possibile intravedere un ingresso microusb. È un cofanetto prezioso (e costoso) che, oltre al CD con i brani musicali, contiene un pregiato libretto con disegni in rilievo, uno schermo integrato da quattro pollici (su cui è riproducibile il video HD del brano strumentale Recusant ad Infinitum), un piccolo diffusore audio da 2 watt, un cavetto di ricarica usb e una scheda con un codice per il download dell’album. Supporto fisico più video, più musica liquida. E l’ascolto è servito. Ma ne siamo certi?

La verità è che quando si ha a che fare con una band come i Tool non si può essere certi di nulla. La proposta commerciale (rivista in autunno, con una edizione diversa e meno costosa), oltre a rappresentare una provocazione, è una chiara indicazione per gli ascoltatori occasionali da streaming un tanto al chilo: la musica dei Tool ha bisogno di attenzioni, ha bisogno di un ascolto maturo e impegnativo e l’impegno nasce già dall’acquisto del supporto, del prodotto artistico in tutti i sensi. Eppure, Fear Inoculum vende tanto, al punto da superare Taylor Swift e Lana Del Rey  a una sola settimana dalla sua uscita. Insomma, sicuramente complice la lunga attesa ma sembra che i fatti, almeno in termini commerciali, diano ragione alle scelte compiute. E la musica?

Tredici anni sono tanti e rischiano di essere troppi se si vuole continuare a essere originali. Lateralus, con la sua riproduzione della sequenza di Fibonacci, è ormai lontano mentre per Ænima occorre affacciarsi addirittura al secolo scorso e 10,000 Days, elemento di sintesi di un decennio, pone le basi per un futuro che tarda ad arrivare. Fear Inoculum è esattamente il futuro che arriva in ritardo e, nonostante rappresenti una nuova e importante tessera nell’indefinibile puzzle musicale dei Tool, mostra qualche segno di cedimento proprio in direzione dell’originalità.

Il disco, nella sua versione liquida, è strutturato in dieci brani di cui almeno tre sono intermezzi strumentali di scarso minutaggio, infatti, nella versione CD i brani sono sette. Sei dei sette brani hanno una durata dai dieci ai quindici minuti, solo Chocolate Chip Trip dura circa cinque minuti. Un brano “normale”? Nient’affatto. È  la traccia numero 6 dell’edizione fisica e viene prima di 7empest, sì con il numero “7” al posto della “T”, quasi a voler sottolineare, oltre alla quantità delle tracce, l’importanza di tale numero nella gestazione del disco. Il brano è una sorta di divertissement tra elettronica e psichedelia che ingloba un pregevole assolo di batteria di Carey. E le restanti sei tracce?

L’apertura di Fear Inoculum è affidata al brano omonimo. Un arpeggio minaccioso e oscuro inserisce la chitarra di Jones e, a seguire, la voce sciamanica di Keenan in una progressione emotiva, ricca di variazioni, che sconfina in una finta esplosione e si conclude troncando di netto. Il testo del brano, a rileggerlo oggi, potrebbe apparire tristemente profetico (“Immunity, long overdue. Contagion, I exhale you”). In realtà, come spiegano Chancellor e Carey, l’intento è quello di esorcizzare attraverso la musica la paura di ricominciare dopo tanto tempo.

Arpeggio seguito da percussioni anche per l’inizio di Pneuma, poi il basso di Chancellor e la chitarra di Jones cominciano a parlarsi, supportati dal ritmo cadenzato della batteria. Dodici minuti di infinito crescendo, che diventa impetuoso solo verso la fine, delimitano un brano complesso e maturo, nuova sintesi di ciò che i Tool hanno proposto in passato. Litanie Contre la Peur è il primo intermezzo strumentale, caratterizzato dai suoni orientaleggianti di un synth; la sua unica funzione è quella di stemperare la tensione del finale di Pneuma.

Con Invincible si entra nel cuore dell’album e nel suo vertice compositivo. Un arpeggio poliritmico di Jones va incontro a un gioco di percussioni e alla voce di Keenan che conduce il brano fino all’incontro con la batteria e al successivo intreccio con la linea portante del basso di Chancellor. Da questo momento in poi il lungo incedere in crescendo è davvero magistrale: una tortuosa circolarità ingloba un melodico ma potente bridge strumentale cui seguono palm muting e irruenza ritmica sempre più incisivi e potenti, fino allo scontro finale: invincibili. 

Legion Inoculant è il secondo intermezzo preparatorio per il prossimo pezzo forte. Descending si apre con un notturno mare in tempesta, seguito da un arpeggio di basso con intarsi di chitarra, su cui si inserisce un romantico Keenan che racconta di una discesa negli abissi della mente, di un cadere nella follia che “non è volare”. È un brano atmosferico, strutturato in maniera circolare tra discese e risalite e con uno dei climax nel bel mezzo di esso, intorno al minuto 7 (di nuovo?), fino allo schianto finale che non arriva nella maniera attesa.

Segue Culling Voices, il brano più riflessivo e intimista del disco, strutturato ma non troppo complesso e caratterizzato da una forte impronta emozionale. Chocolate Chip Trip passa senza lasciare troppo il segno e arriva il momento del pezzo più lungo dell’intero lavoro: 7empest.

Il brano si apre con un arpeggio che ricorda quello di Frame by Frame dei King Crimson, mentre numerosi sono i riferimenti della sezione ritmica ai Rush del compianto batterista Neil Peart. L’evoluzione è rapida e richiama i Tool degli anni ’90, muovendosi tra poliritmie, improvvisi cambi di tempo e giochi dinamici vari, fino alla cavalcata finale destinata a un repentino ma teso spegnimento. Il mockingbird, un uccellino che si diverte a ripetere il cinguettare di altri uccelli, chiude il disco.

Fear Inoculum è un lavoro mastodontico in cui è concentrato tutto l’universo Tool e, da questo punto di vista, lo si può considerare un album completo. Lo si può ammirare nella sua complessità, che richiede numerose sessioni di ascolto; si può magnificare l’indiscutibile perizia dei quattro componenti; si può meditare sulle tematiche sottese ai testi, (auto)ironici e provocatori, forse si possono anche approvare le scelte di marketing. Insomma, da qualsiasi angolazione lo si guardi, non si può assolutamente dire che sia un disco di cui ci si dimentica facilmente, anzi si tratta di un album che cresce ascolto dopo ascolto: la sua complessità è tale da fornire nuovi dettagli e nuove emozioni per lungo tempo. Tuttavia, si tratta di un lavoro che presenta delle debolezze in termini di originalità dovute, principalmente, all’eccessiva distanza temporale dal lavoro precedente. Nel corso dei tredici anni trascorsi non sono state poche le band che hanno esplorato sonorità simili, marcando così, per i Tool, un ritardo quasi generazionale rispetto a 10,000 Days, di cui Fear Inoculum è degno successore. Inoltre, la struttura dei brani principali è piuttosto ripetitiva e in essa è facile riconoscere sonorità e trame già esplorate nei dischi precedenti. Infine, manca quella dose di follia che caratterizzava le produzioni anteriori e che in questo lavoro ha ceduto il passo ad una elaborata maturità progressiva. Nonostante tutto, si tratta di un disco dei Tool, band che da tempo tratta la materia sonora da loro frequentata in maniera impeccabile, senza mai perdersi in inutili virtuosismi fini a sé stessi ma, anzi, facendo sempre in modo che sia la componente emotiva a delineare e a confermare le loro preziose doti compositive ed esecutive. Tutto ciò fa di Fear Inoculum un album meravigliosamente imperfetto nella sua perfezione.