I giovani sono dei serial killer, fortuna che il virus si sta indebolendo

I dati epidemiologici delle ultime settimane sono incoraggianti. Si può sostenere con una certa tranquillità che la cessazione del lockdown non ha comportato, almeno finora, una ripresa del contagio. Anzi, il virus sembrerebbe in lenta ritirata. Il che, sul piano della comunicazione, ha stimolato essenzialmente due approcci, tanto per cambiare: un certo giornalismo a caccia dello scienziato ottimista di turno e un rimanente giornalismo, più guardingo, quasi poliziesco, a caccia del giovane movidaro di turno, dipinto come untore scapestrato, come covidiota aperitivomane.

Nel primo caso, la tesi egemone è quella dell’indebolimento del SarsCov2 deducibile dall’attenuazione dell’espressione clinica della malattia: svuotamento delle terapie intensive, quadri sintomatologici più blandi nei ricoverati, minore mortalità. Con fior fior di luminari a inseguirsi nel confezionare buone notizie e nel rassicurare il telespettatore medio, passato nel giro di qualche mese dal “non c’è da temere” al “moriremo tutti” e ora prossimo alla riedizione riveduta e corretta del “non c’è da temere”.

Nel secondo caso, la tesi egemone è quella della gioventù criminale pronta a vanificare il sacrificio collettivo con un vasto assortimento di imprudenze, deducibile dall’assunzione spavalda di bevande alcoliche nei pressi di attività commerciali che campano, guarda un po’, sul consumo di bevande alcoliche: uso delle mascherine rivedibile, distanziamento fisico all’acqua di rose, qualche sorrisino di troppo.

Ad ogni modo, se per l’indebolimento del virus non esistono evidenze scientifiche, perché, di fatto, è molto più probabile che l’aggressività del patogeno sia stata attenuata dall’onda lunga del lockdown, dalla maggiore tempestività della diagnostica, dall’efficacia delle terapie e dal contenimento della carica virale in circolazione dovuto ai dispositivi di schermatura, esistono invece “evidenze” telegiornalistiche sulla condotta epidemia-friendly di questi stramaledetti giovani, prima educati al consumo come unico orizzonte esistenziale possibile e adesso rimproverati in quanto serial killer dediti all’incretinimento consumistico. Con modalità di rimprovero, peraltro, da studi batesoniani: affinché l’economia riparta, affinché l’offerta possa offrirsi, bisogna stimolare la domanda (uscite e consumate!), ma una volta stimolata la domanda, per evitare che il punto di equilibrio tra tenuta sanitaria e tenuta del mercato venga meno, bisogna perseguitare il consumatore, pizzicandolo nei luoghi del relax sprovvisto di senso civico.

In effetti, non si può nemmeno escludere una sotterranea convergenza tra i due approcci comunicativi: è il virus che si sta indebolendo, non la nostra pazienza, perché se così non fosse, con tutto questo lassismo giovanile a gozzovigliare per locali, sarebbe inconcepibile l’attuale clemenza della curva del contagio. Come se il rilassamento intraepidemico riguardasse solo i più giovani e come se non avesse nulla da spartire, magari, con una comunicazione mediatica, a qualsiasi livello, prematuramente ottimistica e spesso demenziale: si considerino, per esempio, tutte le sciocchezze proferite sulla plausibile “bontà” futura del virus, come se quest’ultimo appartenesse al dominio della morale e non della biologia, oppure si considerino tutte le derive finalistiche nel presentare l’evoluzione di SarsCov2 per quanto riguarda il compromesso tra trasmissione e letalità, come se le eventuali mutazioni del genoma virale non dipendessero dal caso ma da una quota di stress metafisico o come se i vantaggi adattativi teorizzati da Darwin fossero una specie di attrezzo teologico.

In conclusione, è possibile che i giovani siano meno idioti di quanto il copione televisivo di questi giorni voglia farci credere e che i responsabilisti siano meno responsabili di quanto loro stessi vogliano farci intendere?