La morte di Mario Paciolla e i silenzi dell’Onu

Il 15 luglio, a San Vicente de Caguàn, in Colombia, è stato trovato morto nel suo appartamento il trentatreenne napoletano Mario Paciolla.

Un caso di suicidio, in base alle primissime ricostruzioni svolte dalle autorità colombiane. Per impiccagione o per taglio dei polsi (?!). Un caso di suicidio che, se ci si focalizza sui dettagli del ritrovamento del corpo esanime, sul contesto entro cui Mario operava o sull’acquisto di un biglietto aereo per l’Italia da utilizzare il 20 luglio, a voler esser seri, non sta in piedi in alcun modo. E non perché si debbano spremere a tutti i costi significati occulti dalla cronaca nera per puro trastullo giornalistico. Ma perché è doveroso concedere poca fiducia ai fatti così come essi appaiono quando gli stessi stridono totalmente con la logica. E in questa circostanza lo stridore è tale che persino la macchina investigativa colombiana, dopo aver accantonato l’odiosa ipotesi preliminare, si è decisa ad aprire un nuovo filone d’indagine seguendo la pista dell’omicidio. Probabilmente, in virtù delle pressioni esercitate dal nostro governo, preoccupato dal possibile inverarsi di un “nuovo” caso Regeni.

I referti dei due esami autoptici (il secondo è stato richiesto e supervisionato dalle autorità italiane) non sono stati ancora resi pubblici. Al momento, l’unica certezza di cui dispone chi vuole vederci chiaro è l’inquietudine manifestata dal ragazzo, pochi giorni prima di morire, a sua madre. La quale riferisce di un dissidio con i superiori e di una sensazione di pericolo confermata anche da altri confidenti.

Mario Paciolla, lauratosi in Collaborazione Internazionale all’Orientale di Napoli, si trovava in Colombia per partecipare a un programma di pacificazione pianificato dall’Onu. Scopo del programma è, da una parte, vigilare sulla durevolezza degli accordi di pace siglati tra le Farc (Forze armate rivoluzionarie) e il governo colombiano attraverso un processo di reinserimento sociale degli ex guerriglieri, dall’altra, sostenere progetti di riconversione delle aree sfruttate dal narcotraffico. Mario, nello specifico, era impegnato in un progetto di riqualificazione del fiume Caguàn, solitamente utilizzato dai cartelli della droga per il trasporto di cocaina.

Gli analisti italiani e le autorità colombiane considerano da tempo ad alto rischio il distretto in cui operava il giovane volontario e le misure di confinamento dovute all’emergenza pandemica hanno aggravato una situazione già critica, sollecitando i criminali del luogo a rafforzare il proprio controllo sulla zona. A questo bisogna aggiungere che il programma di conversione degli ex guerriglieri delle Farc voluto dall’Onu potrebbe aver disturbato non poco la narcoeconomia. Infatti, l’interruzione della guerriglia e coloro che si spendono affinché tale interruzione resista hanno contribuito a incrinare il consolidatissimo mutuo soccorso tra combattenti comunisti e narcos: durante il conflitto i primi fornivano ai secondi itinerari sicuri all’interno della giungla per poter spostare i carichi di stupefacenti, i secondi, invece, foraggiavano finanziariamente i primi aiutandoli a sostentarsi e ad acquistare armi.

In tal senso, l’indiscutibile assassinio di Mario Paciolla, attivo promotore dello smembramento delle Farc (e in buoni rapporti con molti ex-guerriglieri collaborativi), potrebbe obbedire a uno schema di ritorsione. Potrebbe, appunto. La speranza è che, al più presto, le congetture lascino il posto a delle verità processuali degne di questo nome. L’Onu, intanto, tace.