“A”, storia d’amore e d’anarchia

È di pochi giorni fa una notizia che non avrei mai voluto leggere: “A Rivista Anarchica chiude i battenti”.

Senza entrare nel merito delle motivazioni della chiusura, per rispetto di una questione che mi appare assai delicata e colma di aspetti dolorosi, preferisco raccontare unicamente la storia di questa coraggiosa rivista, che mi è arrivata, puntuale, a casa negli ultimi anni grazie all’instancabile militanza di un edicolante anarchico del Casertano.

La rivista, a breve, avrebbe compiuto 50 anni, essendo nata nel febbraio del 1971, non troppo tempo dopo la Strage di Piazza Fontana, su cui operò, peraltro, una decisa campagna di informazione atta a far emergere la verità. Il gruppo attorno al quale fu fondata era il Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa, proprio quello di Giuseppe Pinelli. I primi numeri furono finanziati da una raccolta fondi interna al movimento anarchico e, rispetto alla storica Umanità Nova, altra pubblicazione importante all’interno della galassia libertaria, presentavano un aspetto più moderno e una grafica accattivante.

La distribuzione era prerogativa degli stessi militanti, che spesso si svegliavano alle 5 del mattino per andare a vendere il giornale davanti alle università e alle fabbriche, in un mondo ancora privo delle possibilità offerte da internet.

Se una delle caratteristiche della rivista che ho conosciuto è stata quella di essere sempre improntata su argomenti di attualità, i primi numeri furono invece dedicati alla ricostruzione della storia del movimento e del pensiero anarchico. Speciali su Bakunin, Malatesta, sulle rivoluzioni russe e spagnole, su Kronstadt, si affiancavano ad articoli tesi a rigettare le accuse ricadute sui compagni Pinelli e Valpreda.

“Eravamo un giornale di anarchici, ma non per soli anarchici…” ricordava qualche anno fa Paolo Finzi, indimenticato ed eroico fondatore, generoso militante e grande animatore di A, sottolineando le differenze tra Umanità Nova, che aveva tanti lettori interni al movimento, e la propria rivista, che invece si proponeva di rivolgersi anche all’esterno.

Nel 1974 ci fu una storica intervista a Fabrizio De André, che si innamorò del periodico tenendo concerti in suo sostegno e donando dei soldi. Allo stesso cantautore genovese A dedicò una copertina nel 1999, all’indomani della sua morte, con un ampio servizio atto a difenderne la componente anarchica dalla banalizzazione operata dai media di massa nei suoi confronti.

Un altro personaggio famoso che non mancò di affermare la sua vicinanza alla rivista fu Giorgio Gaber, cui fu dedicato un articolo, dopo la scomparsa, intitolato La sua generazione non ha perso.

Negli ultimi anni la qualità delle pubblicazioni era rimasta molto alta, con dossier interessantissimi sulla cultura Rom, tematiche antropologiche, una rubrica dedicata alla posta in cui spesso nascevano dibattiti appassionati e appasionanti, lucide analisi sui moderni fenomeni di sfruttamento e le vignette del mitico “Anarchik”, il nemico dello Stato vestito di nero, nato dalla matita di Roberto Ambrosoli.
.