Il terremoto dell’Irpinia: voci e memorie 40 anni dopo

A fine novembre nell’animo di ogni lucano, potentino e della provincia, giovane o anziano, si annida una sensazione di agitazione. Anche nel mio di animo si annida questa sensazione, nonostante viva lontano dalla mia terra, la Basilicata, da 10 anni.

Era il 23 novembre 1980 quando alle 19:34 e 52 secondi una scossa di magnitudo 6,9 agitò la Campania Centrale e la Basilicata centro-settentrionale. Novanta secondi di puro terrore per gli abitanti dei 679 comuni colpiti.

La scossa provocò 280.000 sfollati, 8.848 feriti e quasi 3.000 decessi. L’area interessata, dall’Irpinia al Vulture, è ampia 17.000 km quadrati, e le province più colpite furono quelle di Avellino, Salerno e Potenza. 

L’evento è ancora molto presente nella mente di chi l’ha vissuto, che lo descrive come incancellabile, e di chi, troppo giovane per essere stato presente, ne sente parlare da sempre. 

“Da quel momento sono terrorizzata dai terremoti, ogni volta che ne sento parlare avverto la terra sotto i piedi che inizia a ballare” – così dice Maria, residente a Potenza al momento del sisma, che ora vive a 300 metri dalla casa dove abitava nel 1980.

“Ero a casa di un’amica, con tutta la sua famiglia e il mio fidanzato dell’epoca, eravamo attorno al tavolo del soggiorno a chiacchierare, aspettando che arrivasse l’ora di cena. Di punto in bianco il pavimento ha iniziato a muoversi, il panico si è impossessato di noi. Tutte le prove di evacuazione fatte fino a quel momento hanno portato i loro frutti e ci siamo ritrovati tutti stretti sotto l’architrave della porta di ingresso, abbracciati, senza poter fare altro. Qualcuno di noi urlava. Le urla non erano indistinte, ma annunciavano che quella era la fine del mondo e che la catastrofe era stata mandata dal Signore per punirci dei nostri peccati terreni. Un minuto e mezzo tra la minaccia dell’arrivo dell’Apocalisse e la terra che tremava. Ricordo di aver perduto la vista, la paura mi ha resa cieca per quei novanta lunghissimi secondi”. 

“Quando il movimento si è fermato siamo scesi in strada, non ricordo bene l’evoluzione degli eventi e la loro sequenza, ho dei flash dei momenti che vennero subito dopo e nei giorni a seguire”. 

“Mi misi immediatamente in contatto con i miei genitori, fortunatamente incolumi, ma non riuscivamo a parlare con mio nonno, che non viveva con noi. Io e mia madre andammo a casa sua, perché ricordo vivamente la scena di mamma che batte contro la porta di casa del nonno, senza ottenere risposta. Fortunatamente poi stava bene, ma non saprei riferire il momento preciso in cui ci rendemmo conto di questo”. 

“Vivemmo come sfollati per le settimane seguenti, eravamo fortunati e avevamo una casa in campagna. Ci spostammo con amici e parenti lì, eravamo in 15. La casa era a due piani, noi ragazzi dormivamo sul pavimento del grande soggiorno che ogni sera veniva allestito per diventare un dormitorio. Mamma preparava pentoloni di cibo per tutti e ogni tanto capitava che qualcuno tornasse a Potenza per controllare le case e prendere qualcosa di cui avevamo bisogno”. 

“C’era l’esercito in città, per controllare i crolli e tenere le persone al sicuro, ma anche per evitare lo sciacallaggio. Lasciavano passare solo chi doveva effettivamente raggiungere la propria abitazione. C’erano puntelli per sostenere gli edifici ovunque”. 

“Indossavamo solo tute, per essere pronti a scappare ancora, se l’Apocalisse fosse tornata a prenderci”.

Sull’evento sismico sono state presentate rassegne d’arte, che hanno visto tra gli autori anche Keith Haring e Andy Warhol, lungometraggi e documentari; ma anche poesie, programmi radiofonici, opere teatrali e canzoni, tra cui una dell’artista napoletano Pino Daniele.

Il processo di ricostruzione è stato lunghissimo e oggi, dopo 40 anni, forse, si avvicina al completamento, ma Maria vivrà per sempre con la paura di rivivere quei terribili 90 secondi.