Il caso Alan Friedman e il femminismo due pesi e due misure

Ne sono successe di cose in questi giorni: tra una crisi di governo alla Ionesco e l’insediamento del nuovo presidente americano, lo spazio per far brillare ulteriori questioni è stato davvero poco. Così è accaduto che, nel bailamme televisivo nostrano, un esperto del calibro del sempiterno Alan Friedman si lasciasse andare a un’affermazione becera sull’ex first lady Melania Trump. La battuta infelice (?), le risatine imbarazzate, il polverone, il tentativo (rocambolesco) di buttarla sul mero errore di traduzione, le scuse sentite e ora l’atteso verdetto di mamma RAI. La stessa tv pubblica che sospese il programma “Detto fatto” per il famigerato tutorial sulla “spesa sexy”. In attesa degli eventi, il pubblico ludibrio si scatena e genera il dubbio, legittimo, di doppiopesismo.

Peccato che in tutto questo, della vicenda in sé, della colpa grave di aver dato della puttana a una donna (e che fosse la moglie di Trump o la signora Santuzza da Palermo poco importa) non interessa a nessuno. E la discussione etica e antropologica si è spostata sul terreno di gioco tra detrattori e sostenitori di Donald Trump.

Perché, in verità, è stata chiamata escort una donna che non ci ha autorizzato a farlo né tantomeno si è mai dichiarata professionalmente tale. È grave averlo detto, è grave averlo fatto sulla tv pubblica, è grave averlo pensato, è grave non aver fatto nulla e aver lasciato correre. Poco importa la considerazione che possiamo avere di Trump (nonostante qualsiasi individuo dotato di cervello e di spirito democratico, al di là del suo credo politico, dovrebbe indignarsi di fronte a tale abominio). Poco importa che quella donna ne sia la compagna, complice o meno: nel condannare il tycoon, in queste settimane difficili, nessuno è passato per la sua corporeità, per la sua sessualità, sebbene abbia sempre parlato delle donne come un macellaio farebbe con i suoi pezzi scelti. Invece a Melania si può dare della sgualdrina con l’avallo femminile perché è musona, perché sta con il buzzurro più famoso d’America, perché la sua falcata sulle Louboutin è perennemente fuori luogo.

Ma su queste sfaccettature non c’è tempo di fermarsi e la vicenda finisce per essere una bandiera sventolata nella lotta tra destra e sinistra, tra pro-Trump e anti-Trump, intrisa da banalità in puro stile “signora mia non c’è più religione”. Perché una fitta schiera di coraggiosi trumpisti de noantri insorge come se gli fosse stata toccata la mamma, non per l’oltraggio in sé, ma perché toccando Melania si tocca il loro idolo machista: ergo, per il principio “la femmina deve puzzare dell’uomo suo” non bisogna toccare nemmeno Melania. Peccato che non siano insorti in ben altri contesti o quando donne di altro colore politico sono state bistrattate o apostrofate beceramente.

Ma il tasto femminista a comando è un vizietto bipartisan e affligge anche la schiera degli anti-Trump, i progressisti libertari, quelli che, sotto sotto, sta Melania forse un po’ escort è, e quindi optano per la risatina imbarazzata, per la reprimenda di circostanza, ancora figli di un femminismo abbottonato e anche un po’ gesuitico. Tale frangia derubrica il caso come non grave, si sofferma eccessivamente su chi ha detto cosa e non sulla cosa in sé, si scalda ma non troppo, e lascia passare questo spirito da chiacchiera da bar che spesso fa sì che le donne, quando si stanno sulle ovaia, si chiamano puttane fra loro. Non incolpiamo il patriarcato per questo, per cortesia. Siamo grandi, ormai.

A rendere tutto più triste, nella massa informe di questo polverone sacrosanto, la guerra tra donne, tra frange di femminismo, vetero o neo che sia. Perché è qui che si verifica il ribaltamento di prospettiva che tanto male fa alle signore. Perché le pro-Trump, molte delle quali mai interessate al tema, molte delle quali armate di becero linguaggio sessista (verso uomini e donne indistintamente) ora si rendono protagoniste di una levata di scudi in difesa dell’algida ex first lady, la moglie del condottiero che va difesa. Contro di loro le anti-Trump, femministe o meno che siano o siano state, che fremono per derubricare il caso a scivolone, che premono per la “battuta infelice”, pronte a giudicare la borsetta da 70mila dollari, a dare della poco di buono lì dove spunta un bel seno e un tacco a spillo.

Il problema non è né Melania né Friedman, il problema è il clima da branco condito da omissioni e sorrisetti, il doppiopesismo, l’ammonizione tardiva, il pensare che chiamare una donna “escort” sia una faccenda da destra e da sinistra.

Al cospetto di questo circo ogni scarpetta rossa perde senso. E credibilità.