Il caso dei macachi e la cecità scientifica

È all’ordine del giorno la vivisezione su animali in laboratorio, per il caso dei macachi di Torino e Parma. In Italia il termine vivisezione è in realtà bandito, i ricercatori si offendono, ma dalla Treccani risulta essere: «atto operatorio su animali vivi, svegli o in anestesia totale o parziale, privo di finalità terapeutiche ma tendente a promuovere, attraverso il metodo sperimentale, lo sviluppo delle scienze biologiche, o a integrare l’attività didattica o l’addestramento a particolari tecniche chirurgiche, o, più raramente, a fornire responsi diagnostici».

Crescere dei primati con il solo scopo di sacrificarli, obbligarli a un allenamento preventivo per poi conficcargli delle viti nel cranio ed effettuare vari altri interventi chirurgici dolorosi, danneggiandogli il cervello per renderli ciechi. Testarne, infine, le reazioni, immobilizzandoli per lungo tempo su una sedia, non solo rientra nella definizione ma se parlassimo di un umano la chiameremmo tortura. Sono stati sollevati, tra l’altro, dubbi sulla possibilità di questi animali a continuare a vivere, per quanto devastati.

La difesa

Intanto i ricercatori del progetto LightUp (lessico da simpatica app per smartphone), in interviste come quella rilasciata a Open, hanno accusato la LAV (Lega AntiVivisezione) di non conoscere il progetto. Hanno sottolineato a cosa servirebbero queste ricerche e che tipo di problematiche affronterebbero. Hanno poi rimarcato la bassa percentuale di uso dei primati nei test italiani: “solo” lo 0,06%. Peccato che questo sia a valle di un totale di 691.666 animali per anno, in Italia, e di quale infima considerazione si abbia delle altre specie di cavie. Insomma, i primati sarebbero, in un anno, “solo” 454 (video di Essere Animali in un’università italiana).

In difesa della propria attività, i ricercatori hanno rimarcato che la legge stabilisce siano “vietate le procedure che non prevedono anestesia o analgesia qualora esse causino dolore intenso a seguito di gravi lesioni all’animale”. Hanno anche affermato che “per utilizzare primati, e utilizzarli nelle procedure più gravi e dolorose, anzi, fatali, occorrono giustificazioni valide e un’autorizzazione molto scrupolosa”.

La legge, insomma, implicitamente considera lecita l’attività di ricerca che crei gravi lesioni alle cavie, così come la morte. Eppure sono leggi per il “benessere animale”.
Il problema etico, cioè la vera questione, quella delle “giustificazioni valide”, non è nemmeno posto.

Il Consiglio di Stato, nell’ottobre scorso, aveva sospeso cautelativamente la sperimentazione sui macachi (progetto LightUp), perché non era stata sufficientemente argomentata la impossibilità di ricorrere ad altri metodi e perché l’eventuale perdita dei fondi legati al progetto era secondaria «rispetto alla cecità provocata in sei esseri senzienti, con indubbia sofferenza». Poi, purtroppo, esprimendosi nel merito dell’appello alla sentenza del TAR Lazio che nel giugno 2020 aveva accolto il ricorso della Lav (2019) contro la ricerca LightUp, ha come dimenticato queste affermazioni, e accolto le ragioni dei ricercatori delle università di Torino e Parma.

La sentenza, però, si fonda sul parere alla Fondazione Bietti, la quale non può essere considerata terza. L’ente è, infatti, aduso alla sperimentazione sugli animali. I fondi sono salvi, la lobby pure.

La logica della superiorità

In generale, credere che sia una questione scientifica e non etica vuol dire non avere nessuna cognizione della scienza come dato umano, linguistico e filosofico, bensì essere sottoculturalmente acritici consumatori di una narrazione lineare del dato tecnologico. Come in ogni tempo e per ogni orrore, la questione si basa, pur se purtroppo poco coscientemente, su presupposti ideologici: uomo civile superiore all’uomo selvaggio, uomo bianco superiore a quello di colore, ariano superiore ad ebreo. In questo caso: l’uomo è superiore alla scimmia, per cui può sacrificarla per il suo bene.

Se per assurdo si volesse usare la stessa logica, non tenendo conto dell’ipotesi grave di superiorità, spesa in vario modo nella storia, potremmo chiedere: in cosa è superiore l’uomo?

Non certo nella capacità delle emozioni, del dolore e dei sentimenti.
Per “l’intelligenza“? Intendendo volgarmente in realtà la capacità comunicativa e astrattiva, che sono solo minimi precipitati dell’intera intelligenza vitale. Inoltre, l’ambiente in questione, generalmente, la individua esclusivamente come capacità di elaborazione (motivo per cui il rapporto uomo/robot si è fatto sempre soffermato su calcoli e scacchi).

Bene, allora:

  • un pc è superiore all’uomo in questo: per sostituire una scheda madre, ne conviene che, in mancanza di soldi, si potrebbe uccidere un inferiore negoziante;
  • un primate come il macaco ha un’intelligenza per lo meno pari a quella di un bambino molto cresciuto: indi, ugualmente si potrebbe sperimentare direttamente su un umanoide poco maturo.
  • a questo punto gli umani malati, magari sordi o con handicap cognitivi, possono essere usati per la sperimentazione.

Inoltre, per chi ha “fede nella scienza” e nessuna considerazione etica, non si capisce per quale motivo non fare test direttamente su umani, che risulterebbero scientificamente più efficaci.

Chiaramente queste sono le banali conclusioni prodotte dall’ipotesi di un’ideologia orrenda, che non intende nemmeno lontanamente interrogarsi, né svoltare verso una pratica senza sacrifici, oggigiorno possibile e da sviluppare.

Valore ad ogni sofferenza

La sofferenza si misura con la sofferenza. Il valore di una vita dipende dalla capacità di provare dolore ed altre emozioni, sentimenti, pensiero e “istinto”, memoria e desiderio, e solo in ultimo all’intelligenza. Un’ideologia suprematista basata su quest’ultima non può che risultare una mostruosità senza fine. Non è importante nemmeno l’empatia, che è relativa, semmai la conoscenza: nessuno permetterebbe simili torture al proprio animale domestico, ma al primate sconosciuto sì, basta non pensarci.

Ci si aspetta che l’uomo, nel suo complesso e non nel mero lavorio scientifico-tecnologico, sia capace di valorizzare meglio il suo pensiero e la sua capacità di comprensione dell’altro, anche e necessariamente mettendosi nei panni di un suo cugino macaco, senziente come lui.

“Non sono contrario al progresso della scienza in quanto tale. Al contrario, lo spirito scientifico dell’Occidente suscita la mia ammirazione e, se tale ammirazione è con riserva, è perché lo scienziato dell’Occidente non prende nota della creazione di Dio a noi sottostante. Detesto la vivisezione con tutta la mia anima. Detesto l’imperdonabile massacro della vita innocente in nome della scienza e dell’umanità cosiddetta, e tutte le scoperte scientifiche macchiate di sangue innocente non le considero valide.”

“A mio avviso la vita di un agnello non è meno preziosa di quella di un essere umano. Non dovrei essere disposto a prendere la vita di un agnello per il bene del corpo umano. Ritengo che più una creatura è indifesa, più ha diritto alla protezione dell’uomo dalla crudeltà dell’uomo.”

Mahatma Gandhi