Vincenzo Fornaro, l’uomo che sussurrava a Taranto (e anche ai cavalli)

Vincenzo Fornaro è quello che un tempo si definiva “un gentiluomo di campagna”, di quelli sempre all’opera, in maniche di camicia arrotolate, stivaloni e pantaloni da lavoro. Vincenzo, classe 1970, è nato, vive e lavora all’interno della masseria Carmine, in quel di Taranto. Un luogo sospeso nel tempo, un microcosmo scandito dal nitrito dei cavalli e dal profumo delle margherite selvatiche: l’orizzonte, però, qui alla masseria Carmine non ha il colore dei fiori. È disturbato dal “Mostro”, ovvero l’acciaieria più grande d’Europa un tempo Italsider, poi ILVA, oggi Arcelor-Mittal e a breve…boh, non si sa.

Da sempre allevatore e imprenditore agricolo, Vincenzo balza tristemente agli onori della cronaca nel 2008, a causa dell’alto livello di diossina riscontrato nel latte delle sue pecore. Si tratta della stessa diossina che incupisce il cielo di Taranto e che uccide i suoi cittadini. Il verdetto è crudele: centinaia e centinaia dei suoi capi di bestiame veranno abbattuti alla presenza della forza pubblica. Così, in un giorno dal cielo grigio e freddo, le autorità si presentano alla masseria Carmine e tra gemiti di terrore delle pecore e tanto sangue un’era si chiude. Quelle immagini fecero il giro del mondo: la tenerezza degli animali, gli occhi rossi di Vincenzo, le lacrime di suo padre, il serafico don Angelo, che si asciuga gli occhi con le mani torte dal tempo e dal lavoro. Il “Mostro” negli anni, gli ha già portato via molto. «E poi che faremo, abbatteremo anche i cittadini di Taranto?», sono le uniche parole con cui Vincenzo riesce a commentare quelle scene.

Quella sera la famiglia Fornaro si riunisce in silenzio, un silenzio sinistro, al quale non sono abituati, perché da sempre cullati dai richiami del bestiame: tuttavia, non è il momento di cedere alla disperazione. È proprio in quel momento che Vincenzo l’allevatore diventa Vincenzo Fornaro, simbolo della Taranto che non si arrende. Il caso ILVA si tramuta nel frattempo nel processo “Ambiente svenduto”, nel quale i Fornaro si costituiscono parte civile. Poi, il tempo della riconversione e la scelta di sostituire l’allevamento con la semina della canapa, in grado di decontaminare i terreni inquinati. La tenuta di famiglia si trasforma, intanto, in maneggio e masseria didattica.

La voglia di vivere e lottare di Vincenzo continua a oltranza: nel 2017 viene candidato a gran voce come sindaco della città di Taranto: non ce la fa, ma strappa un seggio da Consigliere comunale dal quale seguita a condurre le sue battaglie. Oggi Fornaro è l’uomo della speranza e si divide, nelle sue interminabili giornate, tra la masseria, i cavalli, l’impegno politico in Consiglio comunale e il processo Ambiente Svenduto, che in ogni udienza, da anni, lo vede sempre presente, paziente, determinato ma instancabilmente sorridente assieme a suo padre e ai suoi fratelli.

Quando ti rivolgi a Vincenzo come ad un simbolo, lui sorride imbarazzato. Negli occhi ha perennemente guizzo e malinconia. Non cede al ruolo di icona, semplicemente non crede alla monocultura dell’industria a Taranto. È per questo che da anni, insieme a tanti amici, si spende per provare a cambiare le cose. Lo fa in nome del suo giorno più difficile, quel 10 dicembre 2008 nel quale ha visto svanire il frutto del lavoro di suo padre e di suo nonno. I suoi sogni. Un tempo i terreni della sua famiglia sorgevano proprio a ridosso del famigerato quartiere Tamburi. Suo nonno rilevò la masseria Carmine alla fine degli anni Cinquanta per creare per suo padre un nuovo futuro, proprio mentre iniziavano gli espropri per la nascita dell’ILVA.

E poi, la grande idea. La piccola grande rivoluzione che nasce nel 2013 grazie all’incontro con Marcello Colao, Vladimiro Santi Spanna e Claudio Natile. Grazie a loro e all’associazione Canapuglia, Vincenzo scopre come la canapa possa essere utile a bonificare terreni contaminati. Un tentativo, questo, già eseguito a Seveso, la cittadina lombarda del famigerato disastro ecologico che causò l’emissione di una nube tossica di diossina TCDD, una delle più pericolose. Così, nell’aprile 2014 Vincenzo decide di fare lo stesso nei suoi terreni dimostrando come la canapa rappresenti un metodo alternativo di bonifica e, allo stesso tempo, un settore di investimento nuovo perché ecosostenibile e destinata a decine di usi diversi, da quello alimentare all’edilizia.

Vincenzo non è fuggito. È uno di quelli che resta. E quella restanza la sta insegnando a molti, giovani e meno giovani. Così come il desiderio del ritorno e il sogno di quello skyline ridisegnato, che a chiamarlo skyline si fa pure fatica, perché sa poco di sud. Una Taranto senza veleni, senza quei fumi e quelle ciminiere che tormentano grandi e piccini e che non danno tregua, nemmeno di notte.