Fuga da Milano: prima producono il panico, poi lo biasimano

Abbiamo sentito di tutto dopo l’assalto ai treni verificatosi a Milano qualche giorno fa. Pacati appelli al senso civico, stigmatizzazioni roboanti, cazzeggi moralistici di ogni ordine di grandezza, ecc. Come se la la libera circolazione della bozza del decreto governativo (tema: inasprimento delle misure anti-epidemia) potesse far presupporre un’ondata di imperturbabilità su larga scala. Come se, proprio nell’emergenza, potessimo riscoprirci all’improvviso tutti razionali, domati da una sorta di ipnosi stoica di massa. Come se l’enorme quantità di sapere difettoso accumulatasi per impollinazione mediatica in queste travagliate settimane non dovesse impattare sulla gestione delle emozioni.

Eppure, dicevamo, il moralismo a orologeria, declinato da prassi col culo degli altri, incurante, ha colpito ancora. Non si è fatto attendere, non lo fa mai. Intriso di senso cinico venduto per senso civico, ha disperatamente tentato di catechizzare i meridionali in fuga da Milano sul concetto di responsabilità, sulla logica del “non nuocere al prossimo generico”, sulla logica del “non nuocere al prossimo specifico”, magari imparentato. Dall’alto della sua astrattezza, non ha proprio voluto saperne di concedersi a forme, anche rudimentali, di empatia. Suggerendo, al contrario, di nascosto da se stesso, la caccia all’untore.

Ma la mente umana, come sappiamo, è un congegno rognoso e richiede tempo per affinare le giuste contromisure psicologiche rispetto a una situazione emergenziale che, per dimensioni, non ha eguali nella storia.

La mente umana, nel suo ordinario operare, fa economia, semplifica, non ama il grigio. Tende a spingere la realtà in moduli più o meno definiti, cerca la consonanza cognitiva, cerca la confezione. Non si adatta facilmente alle altalene mediatiche. E il passaggio continuo e brusco dalla drammatizzazione alla minimizzazione può minarne le difese, mandarla in cortocircuito, consegnarla al panico. Panico poi biasimato, paradosso dei paradossi, dai suoi medesimi produttori, i media, appunto.

Non c’è moralismo, in tal senso, che tenga. Una gestione razionale dell’attesa di un pericolo invisibile reclama prolungate fasi di assestamento e l’idea di una quarantena in terra straniera viene percepita come un’idea di quarantena al quadrato. Facile immaginarlo anche a distanza di sicurezza.

Tuttavia, se il panico pare cosa quasi ovvia nel bel mezzo d’una pandemia galoppante e ci induce ad avere perplessità più sugli incauti divulgatori della bozza esplosiva che sui fuggiaschi, non comprendiamo affatto, invece, la mancata segnalazione del proprio rimpatriare alle autorità da parte di una larga fetta di questi ultimi.

Il panico, in tal caso, non c’entra nulla. Qui la sconsideratezza è totale. Poiché, se l’obiettivo del ritorno a casa, supponiamo, non è l’attentare alla salute dei propri concittadini, ma scappare dal lockdown lombardo, si fatica davvero a ravvisare tracce di intelligenza nel non denunciarsi, a mente fredda, una volta giunti a destinazione.