La lezione di Ocasio-Cortez

È sembrata la scena madre di un film. Uno di quei film in cui gli eroi, secondo un vecchio adagio, son tutti giovani e belli. La protagonista? Alexandria Ocasio-Cortez, passato nella working class newyorkese e presente nell’ala sinistra del Democratic Party. Tosta, equilibrata, dal futuro radioso. L’antagonista? Ted Yoho, repubblicano al cubo, di quelli che superano a destra Trump. Di quelli “niente tasse, viva Gesù e che il prossimo vada a farsi fottere”. Un perfetto esemplare di villain.

L’antefatto: sui gradini del Campidoglio, a Washington, il trumpiano di ferro, sommessamente, aveva definito la sua collega liberal “fucking bitch” (fottuta puttana) in virtù di alcune dichiarazioni di quest’ultima sulla possibile correlazione, forse sconvolgente per un neocon tutto d’un pezzo, tra aumento della povertà e aumento della criminalità. Per sua sventura, l’acustica di quei gradini si è rivelata particolarmente buona e un giornalista da lui non troppo distante è riuscito a captare la villana (da villain, si intende) definizione, offrendola al pubblico e, di conseguenza, all’ignara destinataria.

Alexandria Ocasio-Cortez, in primissima battuta, ha preferito rispondere, senza perdersi in certe lungaggini del femministese, con un semplice tweet, allegando alla sua breve replica, provocatoriamente, un brano hip hop intitolato “Bitch boss”. Tuttavia, in seguito, ascoltato il maldestro discorso di “scuse” di Yoho, ha preferito replicare in via ufficiale, durante una seduta del Congresso. Sbrindellando punto per punto l’intera linea di difesa del repubblicano. Togliendo la sordina all’insulto sessista svolazzato sull’uscio del Campidoglio; facendolo riecheggiare tra i banchi di un’aula probabilmente poco abituata a misurarsi con una simile “vivacità” retorica.

Ancora un vecchio adagio: le parole sono importanti. E le parole dei politici sono doppiamente importanti, perché possono avere maggiori ricadute sulla collettività: la cinghia di trasmissione tra comunicazione politica e comportamenti sociali spesso si è dimostrata sin troppo efficiente.

In giapponese esiste uno specifico vocabolo per indicare la luce attraverso le foglie. È possibile che in un altro idioma esista un vocabolo che indichi la bestialità contenuta specificatamente nelle dichiarazioni dei politici, sottolineandone il quid pluris in termini di pericolosità, in termini di sdoganamento del peggio.

Ma in questo caso il peggio non è un’ipotesi da scongiurare. Il peggio intesse la trama della quotidianità. Il peggio è lanciatissimo. Le parole di Yoho destinate a Ocasio-Cortez, donna di potere e moralmente sospetta in quanto tale, riflettono un sentire diffuso che preferirebbe rimanere indisturbato, a riparo, dietro di esse. Il “fucking bitch” vorrebbe vendersi come un incidente e non come il brutale manifesto di una radicata indecenza, di un ancien régime che proprio non vuole saperne di tirare le cuoia.

“L’avere delle figlie e una moglie non rende una persona decente” arringa la giovanissima parlamentare, né può scagionare, di per sé, chi è imputato di misoginia. Anzi, andando oltre, la statistica insegna che il femminicidio, le violenze sessuali e le molestie sono questioni essenzialmente domestiche. I padri abominevoli e i mariti abominevoli sono più frequenti degli estranei abominevoli. E la società maschilisticamente fondata ama dimenticarselo. Così come ama sospendere opportunisticamente il protagonismo maschile, nell’immaginario linguistico, quando si parla di violenza di genere: la formulazione standard è “violenza sulle donne”, una violenza generica, e non “violenza dei maschi sulle donne”.

Ocasio-Cortez, con il suo intervento, ineccepibile per stile oratorio (perché capace di distendere un’analisi profonda su un vassoio di parole semplici) e per dosaggio emozionale, ha esposto al pubblico ludibrio l’indecenza maschilista, (e in terra di trumpismo equivale a un suonare la carica) con un mix di forza, compostezza ed eleganza decisamente fuori dal comune. Una lectio magistralis in piena regola.

È sembrata la scena di un film. Un film da vedere, rivedere ed applaudire.