L’etica del drago

“Non voglio fare oggi una lezione di politica economica ma darvi un messaggio più di natura etica”.

C’è chi parla, un tempo, un luogo, uno schema (anche lessicale), e c’è chi ascolta. Queste sono le uniche coordinate di un discorso. Il sottotesto è per chi non c’era o per chi vuole intendere solo ciò in cui crede.

L’exordium di Draghi vira su un giudizio assolutorio del presente (la narratio pandemica): “Al di là delle singole agende nazionali, la direzione della risposta è stata corretta”. Già solo questo, come giudizio, ha una valenza esclusivamente politica e pragmatica, non certo etica, per quanto il discorso si proponga come tale. Al giudizio segue la prospettiva, anch’essa non etica, ma con tutte le fattezze di raccomandazione politica (l’anglofono ‘recommendation‘ ha un’accezione meno spuria e più pratica che in italiano): è un invito, una direttiva, una proiezione strategica rivolta all’uditorio. Se proprio vogliamo insistere sull’etica, bisogna diluirne l’assunto, e parlare piuttosto di etica utilitaristica, che (per dirla con Benedetto Croce) riduce sempre il bene all’utile.

L’etica del drago in nessuna parte del discorso ha l’aspetto universale e disinteressato dell’imperativo categorico kantiano, e quindi non è etica, se le parole sono davvero importanti. Ha piuttosto un indirizzo sociale e politico ben definito, economico ancor più definito, dove la preoccupazione non è per il futuro, ma del futuro. Una strategia di uscita per la contemporaneità, che è anche (non voglio dire soprattutto) una didattica di sopravvivenza per “coloro che sono in posizioni di potere”.

Preparare (anzi, “disegnare”) il mondo per le giovani generazioni diventa l’ulteriore, onorevole compito di una classe dirigente che non vuole abdicare, che è chiamata ad escogitare soluzioni per problemi che in buona parte ha contribuito a creare, all’improvviso investita di spirito messianico, sollecita (come sempre nella storia delle democrazie in crisi) a dare un volto umano alla barbarie e alla pochezza dei tempi, che la pandemia sta scoperchiando in modo eclatante, nei comportamenti sia pubblici che privati, sia individuali che di massa.

“La partecipazione alla società del futuro richiederà ai giovani di oggi ancor più grandi capacità di discernimento e di adattamento” è, raschiando, un aggiornamento della concordia ordinum ad ampio raggio, spaziale e temporale, un auspicato consenso (“adattamento”) di tutti, presenti e futuri, intorno alla difesa di un assetto che sta pericolosamente vacillando e che ha bisogno di rinforzare il proprio terreno di fondazione. In un passaggio ulteriore, la posizione è ancora più chiara: “La costruzione del futuro, perché le sue fondazioni non poggino sulla sabbia, non può che vedere coinvolta tutta la società che deve riconoscersi nelle scelte fatte perché non siano in futuro facilmente reversibili”. Per quest’opera di rinforzo, Draghi indica la strada sulla quale si trova più a suo agio, quella ovviamente economica: i passaggi su ‘debito buono e debito cattivo’, sulla ‘ripresa dei consumi e degli investimenti’, sui giovani e sui lavoratori essi stessi ‘investimento’ sono il cuore dell’argumentatio e smascherano il contenuto vero dell’intervento.

Gl’inviti alla trasparenza e alla condivisione (?) diventano, così, non principi assoluti, ma dichiaratamente “essenziali per la credibilità dell’azione di governo”. La maggiore attenzione alla sanità, all’ambiente, all’istruzione, al lavoro non sono impegni di un’etica della responsabilità, ma strumenti di efficienza e di solidità sociale, economica e politica. In un’ottica di eterogenesi dei fini, beninteso, questi propositi porteranno benefici a tutti, ma con un sospetto retrogusto paternalistico.

“Dobbiamo accettare l’inevitabilità del cambiamento con realismo e, almeno finché non sarà trovato un rimedio, dobbiamo adattare i nostri comportamenti e le nostre politiche”. Draghi usa, ancora una volta e prudentemente, il verbo adattare, piuttosto che cambiare. Perché chi parla, ma soprattutto chi ascolta, ha un saldo humus ideologico e pragmatico, com’è giusto che sia. A chi, infatti, Draghi rivolge questa riflessione? Chi è questo ‘noi’? Possiamo illuderci che siamo noi tutti. Ma in realtà Draghi sta parlando ad un uditorio, e a un uditorio ben preciso, quello di Comunione e Liberazione. Che alla fine risponde alla peroratio con un lungo, grato, scrosciante applauso.

“Non voglio fare oggi una lezione di politica economica ma darvi un messaggio più di natura etica”. Etica è una parola impegnativa, di combattimento. Porre una premessa simile mina l’etica stessa del discorso. Ch’è il discorso di un economista, anzi di un politico, anzi oramai di uno statista, con ogni probabilità molto competente e pieno di buone intenzioni. Se non avesse premesso questo, non avrei scritto questo, e avrei applaudito più convintamente anch’io.