Ho un lavoretto per te

Prima di esultare per la rivoluzione digitale, che sta indubbiamente cambiando la vita dell’uomo contemporaneo, proviamo a riflettere su quale nuovo assoggettamento si celi sotto il manto dell’innovazione.

È un dato di fatto che la nascita dell’industria moderna abbia portato all’avvento di un chiaro rapporto di forza, quello tra il “padrone” e i lavoratori salariati, e non si vuole certo negare quanto la fabbrica sia stata luogo di alienazione, sorveglianza e sfruttamento.

Essa era però anche e soprattutto il luogo in cui il lavoratore poteva assaggiare di persona il proprio stato di subalternità, rendersi conto della propria condizione e dar via a rivendicazioni.

L’economia dei “lavoretti”, invece, smaterializza e distrugge qualsiasi struttura organica e qualsiasi garanzia. Attraverso un gioco di illusioni il Web propone tutta una serie di impieghi che sembrano poco più che passatempi dai facili e ampi guadagni. Essi, in particolare, rappresentano un’esca per studenti alla ricerca di un lavoro che permetta loro di studiare, disoccupati fuori dalla logica del mercato per i motivi più disparati e tante altre microcategorie.

La verità è che questi “lavoretti” spesso richiedono tempi consistenti e “fatica” in cambio di paghe ridicole, zero tutele, timore di essere truffati e di truffare inconsapevolmente.  Si tratta di una riproposizione 2.0 e social-friendly della cultura dello sfruttamento. Né più né meno.

A guadagnare davvero da questa situazione sono solo le imprese digitali, che non facendosi carico di alcun costo per i dipendenti possono beatamente ingrassare alla faccia di chi si è fidato. Chi accetta di lavorare per queste imprese (e produrre per esse dei guadagni) non ha alcuna possibilità di rivendicare nulla, né di associarsi a colleghi che non conosce e da cui è unito solo attraverso un’anonima e spietata concorrenza.

Il rischio più grande però, nella proliferazione di queste imprese, non sta solo nella questione del “salario” ma nella via che prospetta. Stiamo davvero andando verso un’economia sempre più digitalizzata, un’umanità sempre più precarizzata e atomizzata, perennemente in bilico tra occupazione immaginaria e disoccupazione? Pare proprio di si.

Saremo davvero individui in perenne balia delle esigenze di nuovi padroni virtuali? Il proliferare di guru del web che prospettano guadagni subitanei è un altro indizio a riguardo.

Totalmente assuefatti al motto “tutti quelli che hanno hanno perché lo meritano e viceversa”, questi self-made man del web vogliono abituarci a non fare più domande, ma ad accettare la realtà per ciò che è. Sembra quasi di sentirli adesso, mentre ci mormorano che lo sfruttamento è solo un modo vecchio e volgare di chiamare l’occasione di guadagno.

Siamo oppressi da un sistema invisibile, e qualcuno ce lo sta vendendo per libertà.