Il populismo ai tempi del coronavirus

Il coronavirus è una cosa seria. Anzi, no. Il coronavirus è un’influenza un filino più grintosa, una sciocchezzona. Schema classico: allarmisti vs tranquillizzatori.

Nell’agone, una folta schiera di bricoleur della medicina, laureatisi, supponiamo, sui forum per gli ipocondriaci o all’università della vita. Con innumerevoli virologi, non unanimi nel posizionarsi, ad arbitrare la contesa.

Virologi, peraltro, virali come non mai. Nell’ordinario, i più cliccati di tutti, quando si tratta di salute, sono gli opinion leader che curano il cancro con le tisane al finocchietto. Miracolo laico: persino i no-vax dicono cose sensate, parlano di immunità di gregge e rinnegano il loro Dio deconcentrato. Rieccoti scienza!

Panico. Anzi, no. Sangue freddo. Vabbè, freddino. Difficile raccapezzarsi. La comunicazione istituzionale e quella giornalistica aiutano poco. Il disallineamento è lampante, l’incoerenza galoppa.

Chi minimizza parla di misure sin troppo muscolari, dettate dalla paraculaggine e non dalla lungimiranza, muovendo accuse di populismo sanitario e sottolineando l’approccio morbido preferito altrove (Francia, Germania, Inghilterra, ecc.).

Chi drammatizza sostiene che la drasticità delle attuali misure di contenimento non sia abbastanza drastica, che si poteva fare di più sul piano della prevenzione, che bisognava omologarsi alla reazione cinese, efficace, pare, non solo in termini cinematografico-letterari: l’odore di apocalisse ha reso l’autoritarismo decisamente più sexy…

Ad ogni modo, le matematiche della pandemia (perché di pandemia, tecnicamente, si tratta) qualche indicazione su ciò che sta accadendo ce la forniscono: a preoccupare non è tanto la letalità del virus, bensì la contagiosità. Un fattore, unito al fattore “panico”, che rischia di ingolfare gli ospedali, di compromettere la tempestività dei soccorsi e di generare isterie a danno dei soccorritori.

Già, il fattore panico. Protagonista indiscusso di queste ore anomale. Chissà chi lo avrà scatenato. La sensazione è che in parte sia dipeso da una comunicazione istituzionale timida, farraginosa e altalenante (preoccupatevi/non preoccupatevi), in altra parte sia dipeso dai soliti ingegneri della paura, sempre sul pezzo.

Nessuna meraviglia, sia chiaro. Ci troviamo nel pieno del corso populista degli eventi. Periodo storico in cui il populismo non è considerabile come una mera parola fetish d’alta moda intellettuale o come una categoria politica tra le altre. Al contrario, esso rappresenta una vera e propria categoria dello spirito del tempo, la categoria egemone. L’informazione se ne nutre, la politica se ne nutre. L’intero dibattito pubblico ne è impastato.

E fare del populismo, a qualsiasi livello, significa, in linea di massima, speculare sulle paure collettive e, all’occorrenza, offrire soluzioni semplicistiche, nella speranza di aumentare il volume dei followers. Con qualsiasi mezzo, a qualunque costo. Senza l’assillo della decenza o del senso di responsabilità.

Ciò che conta è assecondare gli umori. Costruirli di comodo, se necessario. L’emergenza, viene da sé, è l’ecosistema ideale per gli ingegneri emotivi.

Così capita che qualche governatore smanioso di protagonismo social indossi la mitologica mascherina sanitaria, tra le mura domestiche, incurante del danno economico (turismo, export, ecc.) e psicologico che potrebbe contribuire ad arrecare al proprio elettorato di riferimento. Che qualche altro governatore, della stessa fazione politica, si improvvisi epidemiologo en plein air illuminandoci su presunte diete a base di topi vivi. Che si attivino algoritmi in grado di prevedere i futuri starnuti e l’annesso collocamento nel bollettino di guerra pur di acchiappare qualche views in più. Che i conduttori dei talk show diventino federatori di ignoranze anziché divulgatori di conoscenze per ingrassare gli ascolti. Che qualche ineffabile giornalista parli di sacrifici di cose imprescindibili “come il diritto all’istruzione, la socialità, l’economia di un paese, in nome degli over 75”: gli anziani crepino pure, e con loro tutti i soggetti a rischio, il gin tonic con gli amici è sacro!

Il meccanismo, piuttosto elementare, si intercetta facilmente. Il populista drammatizza se gli altri minimizzano e minimizza se gli altri drammatizzano, si oppone a prescindere, destabilizza a prescindere, inocula tensione a prescindere. Questa è la sua idea demenziale, puerile e, purtroppo, profittevole in termini sondaggistici, del polticamente scorretto. I morti sono tanti se c’è da sciacalleggiare, sono pochi se c’è da sgonfiare. Le cose non sono mai come dovrebbero essere e le istituzioni, quando non occupate, mentono sempre.

Il corso populista degli eventi è questa roba qua. L’emergenza lo mette a nudo e per chi ha occhi per vedere, garantiamo, non è un bello spettacolo. Che ne dica il “popolo”, qualunque cosa esso sia.