Cinque serie tv ambientate in Messico

È sempre interessante ragionare sui luoghi comuni. Quali cliché caratterizzano un paese, una nazione, un popolo? Come si evolvono nel tempo? Qual è la prima cosa che vi sovviene, per esempio, quando parlate di Messico? A me sovvengono i mariachi, con le loro schitarrate drammatiche sotto l’ingombrante sombrero, el Día de Muertos, celebrazione mesoamericana dei defunti con cimiteri illuminati e scheletri abbigliati a festa, e la Lucha libre, una sorta di wrestling con i lottatori (i luchador) contraddistinti da maschere sgargianti. A giudicare dalle serie tv, invece, il Messico è caratterizzato sostanzialmente da criminalità organizzata, da narcotraffico e da esecuzioni sommarie nel deserto. La qual cosa può avere un senso, in considerazione del fatto che il Messico risulta il secondo paese al mondo per corruzione, e, al momento, sta vivendo un picco di violenza inaudita (nel 2019 è stato battuto il record di omicidi: 34582 vittime nell’arco dell’anno solare). Queste tristi constatazioni ci conducono al filo rosso (sangue) che lega le serie tv che proponiamo, tutte ambientate in Messico (anche se scritte e prodotte altrove).

To old to die young

Serie evento del regista Nicolas Winding Refn presentata a Cannes 2019. Nella sua maratona lunga tredici ore (in dieci episodi) l’autore danese narra di poliziotti corrotti, di esuberanti minorenni, di genitori cocainomani, di boss di cartelli messicani, di sacerdotesse della morte, di santone new age. Scritta insieme a Ed Brubaker e Halley Wegryn Gross, la serie adotta un ritmo deformato, rallentato per i tempi televisivi, fuori da ogni canone, volutamente respingente per uno spettatore occasionale. La violenza domina ogni accadimento, soggioga anche i rapporti umani e il sesso, con la soundtrack electro-synth di Cliff Martinez che amplifica lo straniamento. Forse è la prima volta che del Cinema autentico (la maiuscola non è casuale) viene serializzato per il piccolo schermo.

Zerozerozero

Tratta dal bestseller di Roberto Saviano, condivide un paio di caratteristiche con l’opera di Refn, primo fra tutte il montaggio alternato e parallelo tra Messico e Italia (con capatine pure in Africa e Stati Uniti), ma la messa in scena è radicalmente diversa. Sollima (per i primi due episodi), Metz e Trapero (per i successivi) adottano il modus operandi dei grandi studios, in particolare degli action-movie e dei gangster-movie, per una storia che segue la striscia bianca che percorre la cocaina dal produttore al consumatore. Dalle fabbriche messicane alle piazze di spaccio della ‘ndrangheta calabrese, la serie rincorre il denaro che si sposta insieme alla cocaina, durante tutto il suo ciclo di vita, con grandi attori (Gabriel Byrne, Andrea Riseborough, Dean DeHaan) e una produzione che è forse la più ambiziosa mai pensata in Italia.

Narcos: Mexico

Non ha bisogno di presentazioni. Partita come spin-off di Narcos, la serie Netflix narra l’ascesa (e la caduta) negli anni ottanta del Cartello criminale di Guadalajara e in particolare del suo boss Félix Gallardo, il quale ha l’intuizione di stipulare un accordo tra tutti i gruppi di narcotrafficanti operanti in Messico. Basata su fatti realmente accaduti, come si sottolinea costantemente utilizzando filmati d’epoca e inserti narrativi che chiariscono il contesto storico-sociale, la serie non ha momenti di cedimento, ma è un lungo crescendo che idealmente dovrebbe arrivare in futuro all’insediamento di El Chapo (figura minore in questa serie, ma protagonista della serie omonima, sempre Netflix).

The Bridge

E’ un remake. La serie dano-svedese originale prevedeva il ritrovamento di un cadavere sul ponte di Öresund che collega Copenaghen a Malmö, metà in territorio danese e metà in territorio svedese. La situazione si ripropone per questo rifacimento sul confine tra Messico e Stati Uniti, sul ponte che collega la città texana di El Paso e quella chihuahuense di Ciudad Juárez. Una detective americana e un detective messicano saranno costretti, loro malgrado, a collaborare per risolvere il caso.

Monarca

Chiudiamo la carrellata con una serie che sfrutta un altro stereotipo messicano: la tequila. Monarca racconta della famiglia Carranza, del loro impero della tequila e di tutti i giochi di corruzione che Ana María (una intensissima Irene Azuela) è disposta a compiere pur di salire al potere. Purtroppo non ancora doppiata in italiano, ma soltanto sottotitolata, la serie di Diego Gutiérrez, coprodotta da Salma Hayek, è un bell’affresco corale in cui le tradizioni e la discendenza sembrano avere meno valore del denaro e del potere.

Vado a spararmi un cicchetto di tequila: hablamos pronto!