La scelta obbligata

La quarantena, la salute, la salvezza

La quarantena è giusta. I miei cari, i miei amici, io, lo siamo da boh giorni. Ho una barba lunghissima, che taglierò solo quando riaprirà il mio barbiere. Questo è il mio orizzonte di speranza.

Assodato ciò, ho riflettuto e scritto, avendo più tempo del solito, non tanto sul fatto (perché è un fatto) che siamo sottochiave, ma sulla facilità e sulla gratitudine con cui abbiamo consegnato, nostra sponte, le chiavi. Per responsabilità, ci ripetiamo, verso noi stessi e verso gli altri. Ma lo abbiamo fatto, e ce lo nascondiamo, anche per angoscia. L’angoscia paralizza e ti fa consegnare le chiavi.

Consegnare le chiavi del proprio spazio più privato significa operare una scelta dirimente, estremamente impegnativa, e (in ipotesi sciagurata) addirittura pericolosa. Si decide tra salute e salvezza, sacrificando la seconda. Si sceglie l’immediato. Ma è naturale, è umano.

Ho fatto però notare che, così facendo, si rinuncia a qualcosa che ci appartiene in modo molto profondo, forse più della salute. Ho posto un problema, insieme ‘filosofico’ e politico (al netto dei rilievi costituzionali), interrogando quella che resta, comunque, la mia convinzione: che solo la libertà e il pensiero ci rendono umani, ci salvano [cfr. La sottile differenza tra salute e salvezza].

L’argomento e i reagenti

L’innesco polemico è nato dal mio riferimento alle (prime) dichiarazioni del premier inglese Boris Johnson (BoJo), sulla strategia per combattere il virus. La faccenda è risaputa. Riassumo la mia posizione così: non ho gli strumenti e il coraggio per sancire se la scelta sia stata giusta o sbagliata, ma ne rivendico, e ne difendo, la legittimità politica.

Le critiche su questo mio argomento specifico sono state essenzialmente di cinque tipi (cinque reagenti), finendo per trascurare gli altri aspetti pur toccati dalla nota sulla Quarantena eterna.

Il reagente A dice che le mie sono solo chiacchiere. C’è poco da interloquire, qui.

Per il reagente B, quella di BoJo è mera eugenetica ‘nazista’ (sic), sacrificante parte della popolazione (più debole) ad un’altra (più ‘utile’).

Il reagente C è disposto a cedere al mio assunto, ma mi tende un tranello dialettico, affermando che ‘si potrebbe parimenti rivendicare la legittimità politica per Hitler’.

Nella retorica, le argomentazioni di B e C hanno un posto molto preciso tra le fallacie: reductio ad nazium e reductio ad Hitlerum. Sostanzialmente, sono escamotage che vogliono squalificare l’interlocutore, e quindi evitare il dibattito, mettendogli sopra un macigno storico-etico.

In realtà, sono facilmente smontabili, e le sbrigo così: BoJo è il capo politico di un Paese con monarchia costituzionale e democrazia parlamentare; Hitler era il male assoluto all’interno di un totalitarismo assoluto.

Interrogarsi sul senso di una scelta non equivale a condividerla, non è sofistica, ma esercizio di pensiero. Ho cercato perciò di mettere in pratica quella che è per me la distinzione tra etica e politica, indagando su come sia stata possibile, all’inizio, da parte di BoJo una decisione così… cinica.

Sono giunto a una mia conclusione: nell’impossibilità di salvare tutti, si cerca di salvare il maggior numero (il dramma è questo); e salvando il maggior numero, si pone attenzione a salvare non solo il presente, ma anche il futuro (economico, sociale, democratico). Il maggior numero di persone è la somma del presente e del futuro. Detto nel nostro caso: scongiurare al presente i morti ‘con o per’ coronavirus, ma anche scongiurare nel futuro i morti ‘senza’ coronavirus, dovuti alle ‘controindicazioni’ di ogni cattiva decisione presa, capace di trasformare l’emergenza sanitaria in un’emergenza democratica e sociale.

Questa decisione spetta alla politica, alla sua phronesis, direbbero i Greci. La phronesis è la ‘saggezza pratica’, quella che governa (è costretta purtroppo a farlo), quando l’assoluto etico, giocoforza, abdica; è la capacità di deliberare bene, o per il meglio possibile, pur nella peggiore situazione, a vantaggio della comunità tutta, presente e futura, degli esseri umani. La phronesis non solo governa il presente, ma prepara e protegge il futuro.

Il reagente D, invece, mi imputa un fraintendimento cognitivo della situazione, che risolve nel confronto scientifico e logistico tra ‘modello italiano’ e (primo) ‘modello inglese’ nella lotta al virus. Mi attribuisce, inoltre, la fallacia del pendio scivoloso: per me il modello italiano porterebbe a conseguenze nefaste, secondo mie valutazioni sbagliate dettate da mia incompetenza. Ammesso che io la pensi proprio così, qui mi interessa qualcosa di meno contingente e di più complesso: il rapporto appunto tra etica e politica, in una situazione-limite come questa.

Il reagente E si chiama Nicola Sguera, e sostiene l’etica tout court: ‘ogni esistenza ha valore’, sempre. Tutta la fiumana che ho scritto dà per scontato questo, ma pure cerca di calarlo nel mondo reale, nel pericolo concreto, nella scelta necessaria.

Ho risposto con le parole di Norberto Bobbio:

nella sfera della politica, il problema che è stato posto tradizionalmente non riguarda tanto quali siano le azioni moralmente lecite e rispettivamente illecite, ma se abbia un qualche senso porsi il problema della liceità o illiceità morale delle azioni politiche.

Al cuore della questione,

tutte queste domande non sono una risposta, ma fanno capire in quale direzione si deve cercare la risposta, e questa direzione non è quella dell’idoneità dei mezzi ma quella della legittimità del fine.

La politica sceglie, l’etica non può

Proprio sulla ‘legittimità del fine’ si gioca il senso della scelta politica di BoJo, a mio parere. E dico sempre scelta politica, perché l’etica purtroppo non può scegliere e salvare tutti, non è manco deputata a farlo, non ha questa responsabilità.

Mentre scrivo, BoJo ha ritrattato. Anche questa è una scelta politica. Anche in questo caso, caro Nicola, non ho strumenti e coraggio per sancire se sia giusta o sbagliata. I bilanci li traccerà il tempo. Anche di questa scelta rivendico, e difendo, la legittimità politica.