L’enigma della fase due
La “Fase due” sta diventando una specie di tormentone simil-kafkiano. Ogni giorno le alternative su come sarà o su come dovrebbe essere subiscono implementazioni più o meno attendibili, più o meno augurabili, più o meno intellegibili. Gli scienziati raccomandano cautela, paventando scenari di allentamento graduale. Con procedura di ripristino delle attività su base macroregionale o per settore produttivo. Nulla che possa definirsi un sospiro di sollievo su larga scala. Nulla che ricordi la collaudata esistenza pre-pandemia. Nulla che possa tranquillizzare i principali rappresentanti del tessuto industriale settentrionale, in diabolica perseveranza, per non dire in criminale ottusità, nel misconoscere i drammatici bollettini quotidiani.
I decisori politici, dal canto loro, rasentano l’enigmatico nel fornire dettagli. E considerando il plateau lungo del contagio che stiamo sperimentando è pure comprensibile. Una strategia seria necessita di adeguata elaborazione nonché di adeguata comunicazione. Necessita di un occhio di riguardo alla fase tre e alla fase quattro, al momento foderate dalle nebbie del pessimismo e appese agli ondivaghi umori delle stanze di Bruxelles.
Difficile da stabilire, infatti, come si muoverà l’Europa. Intrappolata, pare, nel consueto pantano del disturbo dissociativo. Con i sovranismi di Olanda e Germania a ridere d’ogni pratica solidale, a far pressione sui rispettivi governi affinché abbandonino gli stati del sud persino col finimondo alle porte, persino in questo frangente abnorme. I sovranismi, quelle robe definite proprio ieri da Sallusti, da Sallusti eh, come “ricette politiche poco intelligenti”.
Prendiamone, dunque, atto, mentre negli Stati Uniti valutano l’allestimento di fosse comuni nei parchi di New York, mentre in Italia è una “buona notizia” quando muoiono meno di settecento persone in un giorno, mentre in Cina tremano al pensiero di una seconda ondata, magari più feroce, mentre il cronoprogramma del vaccino suggerisce dodici mesi d’attesa, i vertici europei si permettono il lusso dell’indecisione, del tira e molla particolaristico.
Come se tali vertici potessero rivendicare ancora una ragion d’essere in caso di aspettative disattese. Come se le istituzioni europee non si stessero giocando in via definitiva la propria credibilità. Come se il mercato psicologico e il mercato tout court dell’intero continente consentissero in piena catastrofe soluzioni timide, prestiti a strozzinaggio o formulari affini. Provvedimenti già varati in passato che hanno contributo più di ogni altra cosa alla nascita di illogicità politiche quali l’Internazionale Sovranista et similia.
Per l’UE è davvero l’ultima chance. Negare, a un passo dal baratro, un’iniezione a tappeto di capitali – con linee di credito su misura – per il bene comune significherebbe, di fatto, consegnare l’europeismo superstite alla sua seconda, nonché irreversibile, metamorfosi storica: prima ideale politico, poi pasticcio economico, infine patologia psichica.
L’auspicio, il nostro auspicio, è che l’ancora impenetrabile fase due sancisca il riscatto dell’Europa, la fine, sul piano sanitario, delle satrapie indisciplinate d’Italia e lo scongiuramento, per quanto concerne il meridione, del welfare dei clan. Il tempo è scaduto.