Sei passi nel fumetto distopico

Distopìa: previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi (cit. Treccani).

Fino a qualche tempo fa si trattava di un sostantivo conosciuto solo dagli appassionati di fantascienza. Poi la finzione ha iniziato a sovrapporsi alla realtà e, nel giro di qualche anno, siamo passati dal parlare di “epoca d’oro della narrativa distopica”, come asseriva tre anni fa Jill Lepore (docente di Storia a Harvard) sulle pagine del New Yorker, a viverci tutti dentro, a essere protagonisti di quel tipo di narrazioni.

Se ad alcune saghe young adult di grande successo e a determinate serie tv possiamo imputare la promozione su larga scala di questo tipo di storytelling, ad altri media dobbiamo riconoscere l’utilizzo di determinati meccanismi narrativi fin dagli albori. Parlo del fumetto e della visionarietà che ha sempre posseduto, molto più di altre forme d’arte e d’intrattenimento.

L’elenco dei fumetti che possono definirsi distopici è così ampio che non basterebbe un’enciclopedia dedicata. Prenderò perciò in considerazione solo pochi titoli, meno conosciuti de “L’Eternauta” o di “V for Vendetta”, per provare a segnalarvi (e annotarmi) quelli che, a mio modesto avviso, vale la pena (ri)leggere in questi tempi bui di transizione.

Blatta di Alberto Ponticelli

Iniziamo dall’Italia e da uno dei lavori più plumbei ed estremi. “Blatta” (uscito nel 2008 per Leopoldo Bloom e recentemente ristampato da RW LineaChiara) narra di un uomo che vive completamente isolato, sia nel proprio claustrofobico alloggio, come ingranaggio umano di una società post-apocalittica, che nel proprio scafandro da palombaro che lo spersonalizza e lo rende massa. Il monitor del computer è l’unica finestra (virtuale) sul mondo e i ricordi di un passato felice, di affetti e sentimenti, sono solo lampi di memoria. “L’uomo non è in grado di gestire la propria libertà” è uno dei dogmi vergati in questo piccolo, oscuro, gioiello di Alberto Ponticelli che possiede non poche corrispondenze nel presente.

The Private Eye di Brian K. Vaughn e Marcos Martin

Pubblicato originariamente come webcomic sul portale Panel Syndacate (in Italia in versione cartacea dalla Bao Publishing), l’opera di Vaughn e Martin capovolge la prospettiva della delicata questione della privacy. In un futuro prossimo il Cloud, il contenitore virtuale di tutti i nostri dati, anche quelli più sensibili, è collassato. Tutti conoscono tutto di tutti. Non ci sono più segreti, neanche i più reconditi. Per questo motivo ognuno gira travestito, con una maschera, una sorta di nickname reale, per evitare di farsi riconoscere. L’impostazione hard-boiled e l’estetica retro-futurista rende particolarmente affascinante un romanzo grafico realizzato cinematograficamente in 16:9, pronto per essere trasposto. Notevole.

Ikigami di Motorō Mase

In una nazione asiatica del prossimo futuro è in vigore la legge di Prosperità Nazionale. Tale legge prevede l’inoculazione a un bambino su mille, durante le normali vaccinazioni scolastiche, di una nanocapsula letale che lo ucciderà in gioventù rendendolo un eroe nazionale. Ogni designato verrà avvisato nelle 24 ore precedenti della imminente dipartita e i familiari godranno di privilegi dal suo sacrificio alla Nazione. Quali sono le reazioni degli uomini comuni agli “ikigami” (“annunci di morte”)? Motorō Mase lavora su due livelli, quello intimo di ogni singolo condannato, e quello macro, che delinea sia gli aspetti socio-politici che quelli morali sulla dicotomia giusto/sbagliato.

Days of Hate di Ales Kot e Danijel Žeželj

Negli Stati Uniti del prossimo futuro, la alt-right e i suprematisti bianchi hanno raggiunto il potere, cancellando tutti i diritti sociali alle minoranze e ai dissidenti. In uno stato fascista che governa col pugno di ferro e con atti deliberatamente violenti, le due donne protagoniste della miniserie Image aprono, con la loro determinazione, un barlume di speranza in un panorama tetro e brutale, fin troppo simile ad alcuni ambienti già esistenti, di cui l’opera rappresenta una manifesta analisi (e critica) antropologica.

Sweet Tooth di Jeff Lemire

La serie DC/Vertigo di Lemire è ambientata in un futuro nel quale la società e tutte le sue istituzioni sono collassate in seguito a una pandemia (l’Afflizione) che ha ucciso gran parte della popolazione mondiale. Dopo questo evento iniziano a nascere bambini di una razza ibrida, parte umana, parte animale, ricercati e cacciati dagli umani sopravvissuti. Con riferimenti espliciti a McCarthy e King (“La strada”, “L’ombra dello scorpione”), l’autore canadese affresca una vicenda cupa e malinconica, dai toni rurali e vintage, che riesce a toccare le corde più sensibili del lettore.

La Dottrina di Alessandro Bilotta e Carmine Di Giandomenico

Chiudo tornando in Italia, con “La Dottrina”, graphic novel distopico di Bilotta e Di Giandomenico uscito originariamente tra il 2003 e il 2010 per Magic Press e recentemente ristampato da Feltrinelli Comics. Impreziosita dalle tante citazioni del Futurismo, l’opera esibisce un’ambientazione che rimanda a un’organizzazione alterata della scuola, nella quale tutti sono perfettamente conformati e seguono le direttive del Nocchiere. Sfruttando un impianto orwelliano, la narrazione pone la sottolineatura sul potere manipolatorio del linguaggio, con considerazioni sui totalitarismi e soprattutto profonde riflessioni filosofiche.