Gli italiani spiegati agli scienziati con Iva Zanicchi e Virgilio
L’Italia è un paese ricco di talenti. Non raramente si cita la frase di Mussolini che esalta i nostri poeti, artisti, eroi, santi, pensatori, scienziati, navigatori, trasmigratori.
Tutte attività non all’acqua di rose, ma vocazioni e compiti di caratura. La frase, che è scolpita sul travertino del Colosseo quadrato all’EUR, talvolta è enunciata ad alta voce, anche con declinazioni ironiche. Gli italiani conoscono bene i propri difetti e se ne assolvono sempre. Il disordine (apparente), per dirne una, diventa creatività.
Nelle scienze siamo ben consapevoli delle nostre abilità, basti pensare a due chimici unici quali Cannizzaro e Levi, tuttavia non siamo un popolo acculturato scientificamente. C’è il sincero vanto per le menti, talvolta esternato con fin troppo orgoglio, ma manca la metodologia, il progetto a lungo termine.
E’ come avere un bel luna park e lasciarlo in un eterno restauro per preservarne la magia. Quello che agli italiani manca non è certo l’inventiva, ma l’esercizio, padre della perfezione.
Siamo un popolo fantasioso, ma suggestionabile. L’ha intuito bene Iva Zanicchi. Cantante nota, eurodeputata, scrittrice, la Zanicchi è una donna capace di cogliere gli umori viscerali degli italiani. A proposito dei continui episodi di corruzione e voltafaccia, ha sostenuto che sia facile convincerci e abbindolarci perché amiamo il Belpaese e per questo siamo disposti a credere al primo ci venga a promettere: “la proteggo io questa nostra bella Italia, votami!”.
Ci fidiamo, insomma, e per amor di patria deleghiamo compiti delicati, specialmente in politica, a persone totalmente inesperte, ma abili nella propaganda.
Compiti importanti in ambito medico-scientifico sono stati spesso svolti scanzonatamente da personaggi autorevoli. La caterva di decisioni sbagliate purtroppo non ci fa rinsavire nel selezionare più oculatamente la classe dirigente, specialmente per traguardi lungimiranti.
E’ ancora vivo nella memoria il caso “Di Bella”. Mai come in quella vicenda tutta italiana si sono fatte scelte di pancia, ignorando la scienza. Scelte di pancia da parte del popolo e poi assunte, per supposta efficacia terapeutica, dal Ministero della Sanità. La terapia, infatti, venne garantita a spada tratta da Rosy Bindi, ma non sulla base di dati scientifici.
Siamo nel 1997 e il furore scoppia per la cura miracolosa offerta da un serio e scrupoloso medico di Modena (Di Bella, appunto). Gli studi clinici hanno già bocciato il suo multitrattamento. I pazienti, però, sperano nella cura e reclamano perché la somatostatina, usata nel cocktail di farmaci, è molto costosa, ma non è prescrivibile per la cura oncologica non convenzionale proposta dal medico.
In Italia il problema prima che scientifico, terapeutico o etico, è economico. In questo caso il nodo da sciogliere è l’agognata rimborsabilità di una medicina. Il dibattito poi degenera in una miriade di trasmissioni TV sino all’approvazione, successiva, della normativa (“legge Di Bella” 94/98) sull’uso speciale off-label dei farmaci.
Che popolo fenomenale gli italiani!
Siamo fatti così di natura e non c’è nurture che funzioni: ci lasciamo incantare dai mercanti di Cerreto di Spoleto perché crediamo. Ove sobillati, tuttavia, riusciamo con la stessa invereconda naturalezza ad agitare dal basso una protesta per ottenere una legge ad hoc. La partita ovviamente si gioca interamente sul campo dell’emotività e si ripropone ciclicamente.
Tutto ciò è stupefacente in quanto la legge si adegua per soddisfare gli umori, con un percorso opposto al pensiero di Rousseau. Piuttosto che confidare in una legge che gli stessi uomini si prescrivono per essere liberi dagli impulsi, gli italiani riescono a piegare la legge, a seconda dell’aria che tira.
Ma non c’è malizia e ciò è ancora più stupefacente. Non esiste, quindi, quasi mai per gli italiani una presa di coscienza, perché non abbiamo una cultura scientifica (non si dica un talento nelle scienze) e non siamo abituati in generale al metodo, al discernimento.
Di frequente sono state scomodate inutilmente prestigiose commissioni di esperti su varie diatribe medico-scientifiche, quali il metodo Di Bella, il metodo Stamina, Avigan e così via. Le iniziative (non previste e non cogenti), prese periodicamente dall’esecutivo nell’interpellare brillanti scienziati, restano poi un atto formale, anche per mettere in vetrina (ahimè) seri ricercatori e pubblicizzare le attività frenetiche dei Ministeri, con l’alto sigillo della scienza.Dopo di che, tale kermesse rimane vetrina, come una cripta ove mantenere riposta l’analisi scientifica tanto avocata.
Noi italiani crediamo perché è un nostro paradigma, ereditato o coltivato che sia. Il lavoro degli esperti è apprezzato, sventolato e poi non considerato. La dottrina scientifica è disarcionata dalla dottrina e basta, da una dottrina più verosimile, una qualunque, a patto che sia degna di essere creduta di più.
Ciò che trapela dalla nostra storia è che la legge accomoda gli istinti e mai la scienza diventa baricentro di decisioni collettive.
In una poesia Virgilio ci racconta di culex che punge e desta un pastore sdraiato all’ombra soltanto per salvarlo da un serpente che gli si sta avvicinando. Il pastore si sveglia e uccide il serpente, ma schiaccia anche la zanzara.
Per metafora pare di vedere in culex i nostri scienziati che davvero sentono il compito di pungolare gli italiani e svegliarli dal sonno di pericoli reali, ma sono, ahimè, mal corrisposti.
E se basta un carme per spiegare gli italiani agli scienziati (e non solo a loro), è il trionfo di una bucolica indolenza.