Otto video musicali sull’Antropocene

Il termine Antropocene, introdotto ufficialmente dal premio Nobel Paul J. Crutzen ormai vent’anni fa, indica l’epoca geologica che stiamo vivendo, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, è fortemente condizionato, sia su scala locale che globale, dagli effetti dell’azione umana.

Tale azione può schematizzarsi nelle sette eredità che la razza umana sta lasciando al pianeta: l’impronta radioattiva dell’energia atomica (soprattutto di origine bellica), la gran quantità di residui (di vario tipo) dei combustibili fossili, i nuovi materiali non degradabili (plastica, ma anche cemento e alluminio), le mutazioni della geografia terrestre (deforestazioni, attività minerarie, urbanizzazione), la traccia chimica dell’uso intensivo di fertilizzanti, il riscaldamento globale e infine l’estinzione di ogni forma vivente (vegetale e animale, compresa quella umana).

Scrive Antonio Moresco ne “Il grido” (SEM, 2018): “sta succedendo una cosa enorme: le nostre sono le prime generazioni umane a vivere al cospetto di un’estinzione di specie. Tutti gli indicatori, gli studi, i rapporti, le commissioni, i maggiori scienziati, migliaia e migliaia di libri, milioni di altre pubblicazioni di ogni genere, di appelli ci stanno dicendo che abbiamo – come specie – i giorni contati, a causa del nostro folle comportamento su questo piccolo pianeta sperduto in un braccio secondario di una delle miliardi di galassie che popolano l’universo. Eppure tutto va avanti come se niente fosse, le sterminate moltitudini umane non paiono in grado di modificare di un solo millimetro la direzione della loro corsa. Eppure, mentre sta avvenendo questo, i poteri umani dominanti occultano o mettono in secondo piano ciò che incombe su di noi, per non trarne le radicali conseguenze. Perché non vogliono e non possono segare il ramo su cui sono seduti, anche se il ramo è marcio. Perché fondano il proprio dominio proprio su questo occultamento e su questo spostamento d’asse dello sguardo.” 

L’industria dell’intrattenimento musicale (e del videoclip), che non dimentichiamo è un’industria come tutte le altre, in qualche occasione prova a mettere al centro dell’attenzione questi temi (non è dato sapere con quanta buona fede) e a concederci (forse) qualche sguardo nell’abisso.

Il collasso ambientale accelererà nei prossimi anni, rendendo sempre meno ospitale il pianeta, causando migrazioni di massa dalle zone non più abitabili. M.I.A. (all’anagrafe Mathangi Maya Arulpragasam) con “Borders” ce lo ricorda dalla prua della sua imbarcazione di carne (umana) che solca i mari ingrossati dell’indifferenza. La regia è opera della stessa artista cingalese.

Jamie XX (il deejay londinese James Thomas Smith), invece, si muove nella città fantasma di Tianducheng, creata nel 2001 nella provincia cinese di Zhejiang come imitazione di Parigi, con tanto di torre Eiffel, e ormai completamente abbandonata. Il video di “Gosh”, diretto da Romain Gavras ed esaltato da clamorose coreografie di gruppo, ce la mostra in tutta la sua desolata e funerea bellezza.

I Placebo coverizzano “Life’s What You Make It” dei Talk Talk e realizzano un videoclip (diretto da Sasha Rainbow) che ci conduce in Ghana, ad Agbogbloshie, una delle più grandi discariche di rifiuti elettronici al mondo. Impressionante.

Novo Amor e Ed Tullett, invece, ci raccontano con “Terraform” diretto da Jorik Dozy e Sil Van Der Woerd, la quotidianità di Bas, della sua famiglia e di tutti i minatori di zolfo indonesiani.

Il britannico Forest Swords con il suo “Crow” ci porta a volo d’uccello, insieme al regista Liam Young, tra i palazzi interminabili di una Atene del prossimo futuro.

Con riferimenti neanche troppo sopiti agli incendi che massacrarono la California nell’ottobre del 2019, Billie Eilish cade dal cielo in “All The Good Girls Go To Hell” angelo ferito, per schiantarsi in una pozza oleosa di petrolio. Le ali prendono fuoco mentre lei, diretta da Rich Lee, avanza lungo una strada urbana ormai più simile a un inferno dantesco.

Woodkid (il compositore francese Yoann Lemoine) torna alla grande con “Goliath”, di cui è anche regista, e ci narra di un operaio addetto all’estrazione del carbone, stregato dalle macchine da miniera più grandi del mondo, che ha anche un’esperienza mistica all’interno della fornace.

L’ultimo video che vi consiglio di recuperare ha qualche anno in più ed è esplicitamente distopico. I Sigur Ros si affidarono all’italo-americana Floria Sigismondi per descrivere il mondo buio di domani. In “(Untitled)”, apripista dell’album “()”, la band islandese ci raccontava attraverso il vonlenska, la lingua artificiale da loro creata, una storia tragica di bambini ancora vivi ed esuberanti in una terra ormai morta e incenerita. Dal 2002, anno di uscita dell’album, ad oggi, pandemico 2020, quel monito arriva con una forza se possibile ancora più dirompente.