Il Sud e i cambiamenti climatici

Qualcosa sta cambiando nel Mezzogiorno. Non la realtà, che pare immune al tempo del riscatto socio-economico qualunque cosa capiti. Bensì, la percezione della realtà, che comincia a domandarsi il perché dell’eterno ritardo rispetto al resto del Paese senza più ricorrere a predisposizioni storico-genetiche o alla metafisica. Una percezione della realtà che comincia ad avvertire come inospitali i luoghi comuni in cui è stata costretta a soggiornare finora e che comincia a rovistare con insistenza, a caccia di discriminazioni, nelle cifre, nei dati, nelle cattive abitudini mediatiche, nelle manovre finanziarie, nei comportamenti politici. Per carità, non inseguendo alibi, non aspettandosi la grazia, ma pretendendo chiarimenti.

Il successo della Lega a sud di Roma delle recenti tornate elettorali, con ogni probabilità, per paradosso, ha funzionato da defibrillatore, rianimando, negli sbigottiti consapevoli dello sfascio del Meridione, conti in sospeso in permanente stato letargico, come se la tragedia si fosse resa visibile solo dopo essersi manifestata sotto forma di farsa. L’emergenza Covid-19, foriera di prevedibili tensioni sociali presenti e future, dal canto suo, ha fatto il resto, allargando di molto, e rapidamente, la platea degli interessati alla rianimazione terronica.

Vincenzo De Luca, presidente della Campania e fine climatologo umorale, si è dimostrato sensibilissimo a questo processo rianimatorio, specialmente nella sua ultima diretta Facebook, facendo fuoco e fiamme contro l’attuale governo e contro i governi passati, colpevoli di sistematici favoritismi nei riguardi delle regioni settentrionali: “Durante l’epidemia, per l’ennesima volta, abbiamo assistito a una penalizzazione della Campania. Da Roma abbiamo ricevuto meno tamponi di tutte le regioni d’Italia: uno ogni 50 abitanti. Al Veneto siamo a un tampone ogni 16 abitanti, quattro volte di più, in Piemonte uno ogni 19, in Lombardia uno ogni 21, in Emilia Romagna uno ogni 22…”. Dopodiché ha aggiunto: “La Regione Campania riceve ogni anno una quota pro capite di trasferimenti nel riparto del fondo sanitario nazionale che è di 45 euro in meno rispetto al Veneto, 40 meno della Lombardia, 60 meno dell’Emilia e 30 meno del Lazio. La Campania è la Regione più penalizzata d’Italia, viene depredata ogni anno di 350 milioni di euro. Lo Stato dovrebbe vergognarsi e di fronte a questo dato indegno per un paese civile nessuna coalizione politica né di centrodestra né di centrosinistra ha fatto niente. C’è un blocco di interessi nordista che ha prevalso su ogni regola di civiltà e correttezza”.

Insomma, tamponi mancanti e capitali mancanti. Indicatori ineccepibili di uno Stato mancante, che tende a trattare la dolorosità socio-economica, persino sanitaria, del Sud con la propaganda, confidando, al massimo, in un effetto placebo da indurre, magari, attraverso l’istituzione di un ministero apposito (rigorosamente senza portafoglio). Come se la coesione territoriale, chimerica ormai quanto il completamento della Salerno-Reggio Calabria, potesse realizzarsi, in assenza di risorse, con la semplice creatività amministrativa. Come se nelle stanze dei bottoni non si stesse già operando, nemmeno in gran segreto, su come sottrarre soldi al Mezzogiorno col ragionevole pretesto dell’emergenza, perché, in fondo, il Mezzogiorno deve anche scontare la colpa di aver tenuto botta sul fronte sanitario mostrandosi grato e solidale, non azzardandosi a ripartire in anticipo per non mancare di rispetto.

Se così non fosse, sarebbe difficile giustificare il documento (ancora in bozza) “L’Italia e la risposta al Covid-19” elaborato dal Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica. In cui si parla esplicitamente di una “sospensione del riparto delle risorse dei programmi di spesa”. Con riferimento, in primis, a una clausola – prevista dal Decreto Mezzogiorno del governo Gentiloni – che obbligherebbe lo Stato a destinare il 34% degli investimenti pubblici al Sud allo scopo di sanare “il divario nel flusso di capitale pubblico” tra le regioni meridionali e le regioni centro-settentrionali. E, in secondo luogo, con riferimento al Fondo Sviluppo e Coesione, un fondo strutturale pensato espressamente per le “aree sottoutilizzate” che prevede la seguente ripartizione del capitale disponibile: l’80% al Sud e il 20% al Centro-Nord.

Senza considerare che la clausola del 34% prevista dal decreto che si vorrebbe sospendere (per quanto tempo?) è stata applicata molto alla leggera in questi anni, essendo stato il Sud destinatario del 28% degli investimenti statali, e senza considerare che, in quest’ultimo decennio, dando un’occhiata ai conti pubblici, si stima un trasferimento dal Sud al Nord di circa 40 miliardi, 4 miliardi all’anno, per intenderci, almeno 5 Mose.

Che dire? È davvero così sorprendente che nel Mezzogiorno comincino a soffiare venti di burrasca?