Il governo dei migliori è avvisato: prima il Sud!

Il governo dei migliori, dei migliorabili, dei migliorati, delle migliorie – fate un po’ voi –, subentrato al posto dello “zoo dei terroni”, a sua volta succeduto al “governo del cambiamento”, gode di un oroscopo piuttosto incerto.

Ovviamente, non per la stampa dragomane, cioè per la stampa nella sua quasi interezza. Bensì per alcune categorie professionali dalle latitudini sciagurate. Le stesse che, al cospetto di assegnazioni ministeriali (vedi Sviluppo economico, vedi Turismo) dal chiaro orientamento nordcentrico, temono decisamente il peggio, conoscendo a memoria gli esiti nefasti, tutt’altro che casuali, di congiunture politiche arcinote, più resistenti del tungsteno, più ostinate dell’ingordigia salviniana.

“Prima il Nord”, in tal senso, recita la pagina ufficiale del neoministro del turismo Massimo Garavaglia. Leghista puro sangue, leghista di quella Lega le cui radici ideologiche affondavano nel terreno del vasto finanziamento “concesso” al Sud dalle stanze dei bottoni romane in occasione del devastante terremoto irpino: finanziamento che fu trattato dall’aurorale propaganda padanica dell’epoca con l’immagine di una gigantesca mucca (il Nord) spremuta economicamente a dovere per abbeverare il Sud scroccone, primitivo, perenne mungitore, mai mungibile, o mungibile, al massimo, in termini di capitale umano molto odoroso e poco raccomandabile, geneticamente segnato dalla sfaticataggine.

“Prima il Nord”, dunque. Ancora. Oggi più di ieri. Pure in piena pandemia. Soprattutto in piena pandemia. Un claim che è un default operativo da oltre un secolo e mezzo, da ben prima dell’esistenza delle mitologie padaniche, che costituisce ormai una tradizione da custodire. Gelosamente. Da erigere a patrimonio dell’Unesco. Un centro di gravità permanente.

Garavaglia lo sa e non lo nasconde. Nessun profondo pensiero amministrativo potrà mai fargli cambiare idea. È stato votato, persino dai meridionali, appositamente per far primeggiare il Nord. Non si affannino, quindi, i dirigenti di ogni ordine e grado di estrazione terronica. Fatica sprecata. Non c’è petizione o vibrante protesta che tenga.

Lo sa anche Bonaccini, possibile successore del dimissionario Zingaretti alla segreteria del Pd. Il quale, annusando la pioggia di monete prossima ventura, ebbe a dire, qualche mese addietro, che “il Sud può attendere” (in eterno). Perché ci sono i 209 miliardi del Recovery Plan da inoculare nei territori italici e non sia mai che quei soldi vengano spesi distrattamente per ridurre la disoccupazione giovanile del Mezzogiorno (doppia rispetto a quella settentrionale), per creare infrastrutture degne di questo nome laddove non ci sono, per garantire servizi essenziali laddove mancano cronicamente o per sostenere un settore strategico (forse l’unico degno di nota del Meridione insieme al comparto agroalimentare) come il turismo con equità. “Il Sud può attendere”. Anzi, deve attendere. L’attesa del Sud dovrà diventare a sua volta patrimonio immateriale dell’umanità. Il partito unico del Nord spinge. La fratellanza d’Italia vede e provvede.

Di fatto, al momento, sembra che al Mezzogiorno spetterà un irrisorio 34% del finanziamento concordato con l’Europa. In barba alle indicazioni della stessa Commissione Europea. Generosa nell’elargire fondi extra alla malconcia penisola tricolore in ragione di un obiettivo politico preciso e inequivocabile: sanare il divario Nord-Sud e promuovere la coesione territoriale, la cui latitanza rappresenta un evidente ostacolo per la crescita economica dell’intero Paese, oltre a esprimere un regime di incostituzionalità strutturale, essendo la Costituzione italiana promotrice del concetto di pari diritti e pari opportunità per tutti i cittadini, a prescindere dalla collocazione geografica.

Stancamente, si può affermare che, nel 2021, l’annosa questione meridionale, fatta di triangoli industriali da una parte e deindustrializzazione dall’altra, fatta di investimenti pubblici massivi da una parte ed emigrazione massiva dall’altra, nei palazzi in cui c’è voglia di pianificazione a lungo termine, non si presenta come una questione tra le altre, ma come la Questione. In Europa lo hanno capito persino gli uscieri, mentre in questa parte di globo terracqueo che si espande dalle Alpi a Palermo si cerca ancora una volta di far passare il messaggio del modello fallimentare della “locomotiva del Nord” come il migliore dei modelli di sviluppo possibili.

Secondo le direttive di Bruxelles, sulla base di indicatori quali la disoccupazione, la popolazione e il reddito medio, nel Mezzogiorno bisognerebbe investire una cifra pari al 65% dell’intero fondo per tentare uno storico bilanciamento tra le due metà del Paese. Un’occasione forse irripetibile per il Sud. Anche alla luce dell’ennesimo strato di indebitamento che andrà a prodursi a causa di una così consistente iniezione di capitale. Un indebitamento che inevitabilmente peserà come un macigno sulla futura capacità di spesa delle pubbliche amministrazioni a qualsiasi livello e latitudine.

Diciamolo meglio, qualora non fosse ancora chiaro. Diciamolo senza zucccherosità diplomatica: se i soldi del Recovery Plan, sostanziosi in virtù di un “patto per il rilancio del Mezzogiorno”, non venissero utilizzati prioritariamente al Sud, si consumerebbe la truffa definitiva nei riguardi dei meridionali. Una truffa che potrebbe compromettere irreversibilmente la coesione nazionale e il senso stesso dell’unità d’Italia, due concetti già piuttosto logori. Diciamolo ancora meglio: prima il Sud!