Il futuro dei concerti in Italia tra proposte e proteste

Scorrendo meccanicamente le storie di Instagram, l’occhio si è soffermato con malinconia sulle pagine dei principali festival musicali italiani, trascinando la mente indietro di 360 giorni, quando era possibile assistere a un concerto atteso da mesi, sudare, urlare a squarciagola il ritornello di un brano ascoltato a ripetizione su Spotify.

I concerti, al momento, spopolano nel mondo virtuale, inondando le bacheche social con dirette streaming, ma nel mondo reale le prospettive sono ben altre: a partire dalla situazione economica degli addetti ai lavori e degli artisti, fino alla questione del rimborso dei biglietti agli spettatori.

L’Italia ha optato per l’introduzione di un voucher pari al prezzo del biglietto da poter utilizzare per gli eventi organizzati entro i dodici mesi successivi alla data dell’evento a cui si intendeva partecipare. Il decreto legge prevede che i cosiddetti “buoni spesa” siano, però, validi esclusivamente per i concerti messi in piedi dal promoter dello show cancellato. Il vero problema è che questa soluzione non è effettivamente applicabile agli spettacoli rimandati, ovvero la maggioranza.

Le direttive dell’ultimo decreto emanato dal governo Conte sono chiare: dal 15 giugno via libera ai concerti, consentendo l’ingresso a un massimo di 200 persone negli spazi al chiuso e 1000 all’aperto. Una decisione sofferta, ma necessaria, che di fatto “condanna” rassegne storiche come il Lucca Summer Festival o il Rock in Roma allo slittamento di un anno. Stessa sorte per i tour nei club, molti dei quali, non potendo garantire il distanziamento, sono costretti a chiudere prematuramente la stagione, sperando in tempi migliori a partire da settembre.

Ma siamo poi così sicuri che in pochi mesi qualcosa cambierà? Ascoltando il parere dei gestori dei locali questa ipotesi appare abbastanza improbabile. La riduzione della capienza porta a due conseguenze: aumento dei ticket d’ingresso e dimezzamento del cachet per gli artisti.

Insomma, l’estate musicale italiana 2020 potrebbe essere ricordata come un’occasione persa, non solo per gli organizzatori, ma anche per i fruitori. Niente accendini in aria per Tiziano Ferro a San Siro, niente file interminabili ai tornelli con la speranza di vedere Vasco Rossi da vicino.

Eppure, tra mille difficoltà economiche e organizzative, qualcosa si sta muovendo nell’industria musicale. Le iniziative sono tante e crescono di giorno in giorno. Una di queste è il progetto del “Live drive in”. L’idea è quella di trovare aree così grandi da poter allestire palco e maxischermi, permettendo agli spettatori di godersi lo spettacolo comodamente seduti in auto, nel pieno rispetto delle norme anti Covid-19.

“L’obiettivo – spiegano in una nota gli ideatori – è quello di sostenere tutta la filiera di cinema, teatro e musica live, ad oggi in ginocchio con più di 300 mila lavoratori stimati in disoccupazione e perdite per decine di milioni di euro ogni settimana”. Al progetto hanno aderito oltre 20 città, tra cui Milano, Roma, Firenze, Torino, Bologna, Verona, Catania, Genova, Bari, Cagliari e Palermo.

L’altro esperimento è il live streaming a pagamento: in Italia si parte il 30 maggio, quando il rapper Venerus suonerà in diretta esclusiva dal Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo Da Vinci, in chiusura della Milano Digital Week. Costo del biglietto 5,5 €.

Insomma anche la musica italiana, dopo esser venuta fuori dallo stallo della fase uno, sta provando faticosamente a entrare nella fase due, con l’augurio che possa riuscirci. Ma nulla, purtroppo, è scontato.