Il paradosso del sentimento antilombardo

La Storia adora i colpi di scena. I suoi interpreti, invece, preferiscono i colpi di genio. E se la prima ci impone un attacco virale su scala planetaria di ostica risoluzione, i secondi raccontano, su scala locale, di un’inaccettabile offensiva discriminatoria. Raccontano, credendoci sul serio, dell’improvviso palesarsi, forse non così improvviso, di un sentimento antilombardo. Di una gioia per le altrui sventure (schadenfreude la chiamano i tedeschi) psicologicamente egemone in tutte le zone d’Italia in cui il reddito pro capite, nella migliore delle ipotesi, si dimezza rispetto a quello della scintillante Locomotiva del Nord.

“Invidia sociale”, ripetono in loop i sedicenti discriminati: capaci, ironia della sorte, di apparire discriminatori, o quantomeno classisti, proprio mentre cercano di intercettare, con sdegno e raccapriccio, i moti dell’animo di chi li starebbe discriminando. Un’invidia sociale, nei confronti di chi vale il 22% del PIL italiano, che troverebbe finalmente soddisfazione nei guasti di una macchina organizzativa narrata come super-efficiente sin dalla notte dei tempi. Un’invidia sociale verso “chi è stato sempre ritenuto il migliore”, a sentire De Bortoli, figlia di “un disprezzo dell’impresa”, di “una diffidenza nei confronti dell’industria”, di “una rivincita della statalizzazione contro il mercato”: “sottilmente”, ancora De Bortoli, “il liberismo viene ritenuto responsabile di quello che è successo”.

Traduzione letteraria: l’antilombardo, per sovrapponibilità debortoliana del lombardo e del liberista, sarebbe essenzialmente un antiliberista e per quest’ultimo il disastro sanitario della Lombardia lo si dovrebbe, in primis, allo smantellamento della sanità pubblica perpetrato dai governi regionali degli anni precedenti, vedi Formigoni. Dietro la “lombardofobia” ci sarebbe una sensibilità statalista frustrata a caccia di rivalsa, come se il liberismo puro resistesse imperterrito tra Brianza e dintorni in barba alla sua fine storica datata 1933, anno in cui Roosevelt diede inizio al New Deal.

Ad ogni modo, De Bortoli e derivati, lo ribadiamo, non nutrono dubbi sulla reale esistenza della pulsione emotiva “lombardofoba”. Non la ritengono una semplice ipotesi di lavoro, un giochino intellettuale o una boutade. A sostegno citano pure alcune annotazioni aneddotiche (“ascolto racconti di amici che sono andati fuori dalla Lombardia e sono stati accolti da battutine, insinuazioni e cattiverie”) nonché, tra le righe, la gettonatissima teoria dell’accanimento mediatico, una specie di campagna bellica giornalistica avente per obiettivo polemico la gestione dell’emergenza sanitaria da parte di Fontana e sodali. A cui, pare, bisognerebbe concedere, in quanto lombardi, il beneficio dell’infallibilità. Nonostante le matematiche della tragedia farebbero pensare a una sequenza di scelte, a esser magnanimi, sconsiderate. Last but not least, la controversa vicenda della produzione dei camici ospedalieri affidata, senza gara d’appalto e con un presunto esborso di denaro pubblico pari a mezzo milione di euro, a una ditta della quale la moglie del governatore della Regione Lombardia risulta socia “solo” al 10%.

Per paradosso, a questo punto, dato il livello di negazione dell’evidenza, non si può nemmeno escludere che l’antilombardo, ammesso che esista, anziché corrispondere alla descrizione tracciata da De Bortoli e da tanti altri paranoici meno chic, assomigli invece proprio ai cantori della discriminazione. I quali, di fatto, pur di difendere a spada tratta un’immagine di efficienza amministrativa, si ostinano a sottodimensionare i drammatici errori commessi da chi ha gestito l’emergenza sanitaria. Sminuendo, di conseguenza, all’interno del dibattito pubblico le istanze di giustizia dei familiari dei deceduti, lombardi anch’essi; facendo passare, Dio solo sa perché, un sacrosanto attacco a una classe dirigente discutibile – primo passo per una futura rigenerazione della medesima – come un attacco al territorio martoriato che l’ha espressa. Con un vittimismo, peraltro, che sa di ripulitura del karma, poiché, non dimentichiamolo mai, la discriminazione territoriale, quella vera, in Italia è sempre stata unidirezionale e, per alcuni partiti, addirittura programmatica.