Sovranisti contro John Lennon
Uno spettro si aggira per l’Italia, ed è una canzone. Più che una canzone è oramai un inno; un inno che è allo stesso tempo marxista, filosovietico, capitalista e mondialista. Proprio così, ed è uscito quasi 50 anni fa. Si tratta di Imagine, senza dubbio la canzone più nota di John Lennon solista, contenuta nell’album omonimo del 1971.
Un’improbabile polemica è recentemente divampata a proposito di questo brano. Alla base del dibattito ci sono le dichiarazioni fatte tempo addietro da Susanna Ceccardi, oggi candidata leghista alla presidenza della Regione Toscana, che ha definito Imagine una canzone di ispirazione marxista e quindi comunista. La candidata leghista aveva criticato la proposta dell’allora sindaco di Cascina (PI), suo predecessore, di far cantare Imagine nelle scuole primarie.
Com’è noto, il testo di Lennon invita l’ascoltatore a immaginare un mondo senza confini, religioni, possedimenti, guerre, ecc. Difficile dire però in quale momento della canzone si possa instaurare la dittatura del proletariato, o se siano più le strofe o il ritornello il frutto diretto della teoria del plusvalore.
Secondo la Ceccardi l’utopia cantata da John Lennon si era già realizzata da anni al momento dell’uscita della canzone, e si chiamava Unione Sovietica. Perché allora l’ex Beatles avrebbe quindi sognato qualcosa di già esistente?
Sappiamo poi per certo, grazie ad alcune interviste, che Lennon non nutrì alcuna simpatia per il governo socialista sovietico, né per quello cinese. Permangono i dubbi…
C’è infatti chi non concorda. Giorgia Meloni, di recente intervistata da Luca Telese, la pensa diversamente riguardo alla canzone incriminata, divenuta ormai un sorprendente argomento d’attualità. Imagine non sarebbe dunque una malcelata celebrazione dell’URSS, piuttosto il suo contrario: “l’inno dell’omologazione mondialista”, quindi il trionfo del libero mercato e della globalizzazione.
Com’è possibile allora che lo stesso testo sia un potenziale inno valido per seguaci di Lenin e simpatizzanti di Soros? È chiaro che se qualcuno se ne fosse accorto in tempo, John Lennon avrebbe probabilmente risolto la guerra fredda.
“Non è una canzone il cui testo mi appassiona. Dice che non ci siano le religioni, che non ci siano le nazioni… Io francamente sto da un’altra parte: per me l’identità è un valore” ha aggiunto la Meloni.
Detta così, la frase sull’identità è forse incompleta. Manca un aggettivo. È probabile infatti che la presidente di Fratelli d’Italia intendesse difendere un’identità chiusa, con frontiere chiuse e pochi mischiamenti, e una religione che sia una, quella giusta possibilmente. Rimane sempre vivo infatti il paradosso di una religione cosiddetta cattolica (cioè universale), storicamente troppo spesso pronta ad abbracciare nazionalismi e steccati, meglio se nel nome del cuore immacolato di Maria.
Resta poi da capire come un testo in cui si ipotizza l’abolizione della proprietà privata (imagine no possessions… imagine all the people sharing all the world) possa essere preso per un’ode alla globalizzazione e al consumismo. Troppo compromettente anche per il Partito Democratico (rischierebbe di sembrare di sinistra), e troppo poco compatibile con Almirante per essere accolta da Di Battista, all’involontaria avventura politica del successo di John Lennon non rimane che trasformarsi, in Italia, in un inatteso inno dei terrapiattisti. Nessun inferno sotto di noi e sopra di noi soltanto il cielo. Un’unica Terra, sì, ma piatta.