La pandemia tra scienza e opinione

Come molti ricorderanno, nel 2015 Umberto Eco dichiarò che i “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”. Fece scalpore. 

La domanda era ed è: si può veramente decidere chi ha diritto a esprimersi su un determinato argomento e chi no?

La risposta, ovviamente, è no.

Per quanto la cosa possa infastidirci, se c’è qualcuno che deve abbandonare Facebook, non è tanto l’utente che esprime in maniera più o meno sensata la sua opinione, quanto quello che vorrebbe censurare le opinioni altrui. Logico, giusto?

La Terra vista dalla Luna, inoltre, è probabilmente una fotografia con legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar, e che ora digitano commenti inferociti sulle reti sociali. Se siamo diventati questo, lo dobbiamo accettare. Il faut faire avec

La questione è quantomai attuale, se rapportata al momento storico in cui tutti viviamo, le cui proporzioni sono sicuramente abnormi. Al centro del villaggio si è posta la scienza. Una materia ampia, complessa e a volte contraddittoria, con cui i nostri contatti si sono col tempo affiochiti da quell’ultima interrogazione di biologia durante la scuola superiore, andata peraltro piuttosto male. 

Dobbiamo perciò veramente pretendere che si occupino della pandemia e di tutte le sue conseguenze solo gli specialisti? Possiamo pensare di vivere un evento di questa portata senza esprimere la nostra opinione, poiché non sarebbe quella di uno specialista?

Per quello che conta, se interpellato da un passante, io direi di no. Certo, non siamo esperti. Quando in preda a una momentanea euforia, magari in seguito a una digestione particolarmente felice, crediamo di essere finalmente diventati professori emeriti di immunologia, ci stiamo senza dubbio sopravvalutando. Ma dobbiamo per questo astenerci da ogni commento?

Come sostenuto da Edgar Morin, sul cammino della conoscenza ognuno di noi si imbatte naturalmente in illusioni ed errori. Questo allora potrebbe essere l’aspetto fondamentale da tenere a mente nei nostri commenti infuocati sotto gli altrui post, o nelle frequenti shitstorm (tempeste di escrementi) che ci riversiamo addosso l’un l’altro – a meno che non si voglia partecipare alle precipitazioni fecali per puro piacere.

La tendenza diffusa, tuttavia, sembrerebbe piuttosto quella di voler convincere gli altri, prima ancora di aver convinto sé stessi, lanciandosi in un’opera di persuasione delle masse dormienti, non considerando errori e illusioni possibili.

Ad esempio, nel momento in cui pretendiamo che la scienza debba avere le risposte pronte e confezionate, siamo noi a trasformarla in qualcosa che sicuramente non è, ossia un insieme di dogmi o una religione. 

Il “negazionista”, per il quale “tutta la scienza è una cazzata” perché porta con sé avvisi diversi e contraddittori, diventa perciò più scientista di chiunque altro, affibbiando alla scienza lo status erroneo di elenco di verità assolute.

Un tipo di verità che, si sa, conduce sempre al fanatismo, definito saggiamente da E.M. Cioran come la morte della conversazione: “Cosa si può dire a chi si rifiuta di penetrare le vostre ragioni e, visto che non ci si inchina alle sue, preferirebbe morire piuttosto che cedere?” 

La vera sfida sarà forse diffidare delle verità assolute, delle risposte semplici, e della rassicurante dietrologia. Per concludere con Cioran, allora, “ben vengano i dilettanti e i sofisti che, almeno, entrano in tutte le ragioni!”.