Gli 80 anni di Dario Argento, l’Hitchcock italiano

“In verità io sono un uomo banalissimo, il mio doppio no”

“Hitchcock italiano”, “Maestro del brivido”, “Re dell’horror” (titolo, a dir la verità, non troppo gradito dal cineasta romano), sono solo alcuni dei soprannomi che la critica ha riservato in questi anni a Dario Argento.

Figlio di un produttore cinematografico e di una fotografa di moda, ereditò da entrambi i genitori i punti fermi della propria arte. Se fu il padre a trasmettergli la passione per il cinema, furono invece le ore passate nello studio della madre a conferirgli un interesse particolare per  le figure femminili, l’illuminazione, la cura del dettaglio e del trucco, ovvero quegli ingredienti presenti in tutti i suoi capolavori.

In gioventù, da critico cinematografico per Paese sera, parteggiò energicamente per il cinema di genere, ovvero quello considerato di “serie b” dalla critica ufficiale. Dopo alcuni lavori da sceneggiatore, l’esordio dietro la macchina da presa arrivò nel 1970, con L’Uccello dalle piume di cristallo

In questo film, così come nei successivi Il Gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio, e soprattutto Profondo Rosso, Argento diede vita a un cinema ossessionato dai dettagli, impreziosito da colonne sonore disturbanti e allucinate (spesso a cura dei geniali Goblin di Claudio Simonetti), basato su enigmi apparentemente irrisolvibili che riecheggiavano la lezione di Edgar Allan Poe e de I delitti della Rue Morgue.

Se è lecito ammettere che Dario ricorse spesso a motivi da Grand Guignol, è pur vero che la finezza del lavoro registico era indiscutibile. Cinema di effetti ed effettacci? Forse, ma, allo stesso tempo, padronanza assoluta della suspense e indubbia maestria nel produrre brividi. Non si può negare neanche quanto la fotografia dei suoi film abbia fatto scuola, e quanto certi colori e certe luci abbiano oggi assunto la definizione di “argentiani”. 

La critica non ne comprese subito la portata, e celebri restano le stroncature dell’Unità, che parlarono di “film indescrivibili e inenarrabili…” e gli diedero del “presunto emulo di Hitchcock”.

Da Suspiria, la splendida fiaba gotica realizzata nel 1977, Dario si dedicherà meno al thriller e più all’horror, confezionando altri classici del genere come Phenomena o Trauma

Amatissimo in tutto il mondo, per ottenere i giusti riconoscimenti dalla critica in Italia dovrà attendere anche lui, come Fulci, Bava ed altri, lo sdoganamento ad opera di Quentin Tarantino, da sempre innamorato dei film del cineasta romano. Tra i tanti omaggi che il regista statunitense gli ha dedicato, ricordiamo quello presente in Grind House-Death Proof, quando lo spietato Kurt Russell spia le ragazze nel parcheggio accompagnato dalle dolci note di Piume di cristallo, dalla colonna sonora del film omonimo.

Secondo quanto affermato dalla figlia Asia, oggi Dario starebbe lavorando a un nuovo horror dal titolo “Occhiali neri”.