Cosa si mangiava a Pompei nel 79

Dopo la sensazionale scoperta del 23 novembre di due corpi quasi integri, un signore quarantenne e il suo giovane schiavo, il 26 dicembre è stato annunciato il ritrovamento nel Parco Archeologico di Pompei. di un Thermopolium pressoché intatto nella Regio V. La parola termopolio deriva dal greco e il termine era composto da termós che significa caldo e poléo ovvero vendo; altro non era che una tavola calda dove gli abitanti della città romana potevano acquistare cibi e bevande caldi. Locali di questo genere erano molto diffusi nel mondo romano, poiché era d’uso comune pranzare fuori casa; in tutta l’area archeologica Pompei sono presenti più di ottanta termopoli.

Il locale ritrovato, posizionato tra vicolo delle Nozze d’Argento e il vicolo dei Balconi, nella zona nord degli scavi, affacciava su una piazza nella quale da scavi precedenti erano emerse una fontana, una cisterna e una torre per la distribuzione dell’acqua. La struttura dell’esercizio commerciale era semplice: posizionato in corrispondenza della strada si trovava un bancone al cui interno, incassati nella struttura, venivano murati i dolia – contenitori in terracotta – in cui venivano conservati i cibi destinati alla rivendita.

Lo scavo era già iniziato nel 2019, durante gli interventi del Grande Progetto Pompei, volto alla messa in sicurezza e al consolidamento degli scavi storici, ma l’ambiente era stato scoperto solo parzialmente. In quell’occasione furono portate alla luce alcune delle incredibili decorazioni presenti, come l’immagine della Nereide – una ninfa marina – a cavallo, così particolari da decidere di estendere lo scavo all’intero ambiente. 

Una volta completate le operazioni è emerso il grande bancone a forma di elle su cui sono dipinte delle immagini. Sul lato lungo la ninfa già venuta alla luce lo scorso anno e sul lato corto raffigurazioni che fanno riferimento alla funzione della bottega, che probabilmente fungevano da insegna, in quanto visibili dalla strada. Sono presenti, infatti, delle nature morte con rappresentazioni di animali, alcuni dei quali si ritiene fossero venduti nel locale; si possono ammirare due anatre germane, un gallo e un cane al guinzaglio. 

All’interno degli spazi destinati alla vendita e nel retrobottega sono stati rinvenuti i resti dei corpi di due vittime, una delle quali di almeno 50 anni, e di un cane; la loro presenza testimonia come l’eruzione sia arrivata improvvisamente senza consentire la fuga. 

Ma la scoperta più sensazionale è costituita dai resti di cibo ancora presenti all’interno del bancone. Reperti attraverso cui è possibile farsi un’idea precisa di quale fosse la dieta alimentare e di che tipo di pasti venivano venduti. Il team interdisciplinare che ne ha curato l’analisi ha rinvenuto tracce di una gran varietà di prodotti animali quali anatra, suini, caprini, ovini, pesce e lumache di terra. È possibile ipotizzare che questi fossero gli ingredienti di un’unica pietanza antenata della paella. Oltre a tracce di alimenti sono stati scoperti anche resti di vino, il cui gusto e colore erano, secondo l’usanza del tempo, modificati con l’aggiunta di fave macinate.

Sono stati inoltre ritrovati contenitori per la conservazione di alimenti e per il loro trasporto come anfore, fiasche, una patera in bronzo – coppa comunemente usata per offrire bevande durante i sacrifici rituali – e un’olla in ceramica in cui venivano cotti o conservati gli alimenti. 

La direzione del Parco Archeologico si propone di aprire il sito ai visitatori, situazione pandemica permettendo, entro la prossima primavera, in prossimità delle festività pasquali.