“SanPa”: le mille sfaccettature di Vincenzo Muccioli

SanPa: luci e tenebre di San Patrignano è la docu-serie italiana che sta spopolando su Netflix, creando divisioni e dibattiti politici.

Dopo Letizia Moratti, che ha preso le distanze dalla serie affermando che «è stata un’occasione persa», anche Giorgia Meloni dice la sua in merito. «Sono stata tante volte a San Patrignano e nelle occasioni in cui ho visitato la comunità ho imparato molto. Ho ritrovato amici ‘persi’ da anni e scoperto, tra le persone migliori che avevo al mio fianco, uomini ‘salvati’ da Vincenzo Muccioli».

Già solo per aver riaperto il dibattito intorno alla tossicodipendenza, una piaga tutt’ora forte, SanPa andrebbe sostenuta o almeno ringraziata. La docu-serie in 5 puntate scritta da Carlo Gabardini, prodotta e sviluppata da Gianluca Neri per 42, è un prodotto originale Netflix. Italianissimo, ma dallo spirito internazionale. Nascita, crescita e declino di San Patrignano sono rappresentate attraverso testimonianze dirette e documenti inediti. Ma anche grazie ai molti filmati, interviste e immagini originali dell’epoca. Un lavoro impegnativo che emerge con forza durante la visione: un montaggio degno delle migliori produzioni internazionali, che tiene inchiodati dal primo all’ultimo fotogramma.

Il più grande merito di SanPa è però un altro: l’averci messo nella condizione di riflettere, di farci una nostra opinione. Sempre più raramente ormai le produzioni – televisive, cinematografiche o giornalistiche – ci offrono l’occasione per riflettere. Di solito viene proposta un’opinione preconfezionata, pronta all’uso, che ci toglie dal difficile compito di crearne una nostra. Ciò è largamente accettato da molti proprio perché più semplice. Ma non più giusto.

SanPa affronta temi fondamentali, potremmo dire filosofici, sull’uomo e sulla società. Quanto in là ci si può spingere per fare del bene? Il fine giustifica i mezzi? Il “male” è necessario per giungere al bene?

Quando negli anni ’70 l’eroina fece il suo ingresso in Italia, annientando i sogni dei giovani, lo Stato si trovò totalmente impreparato. Una vera e propria piaga incontrollabile, nascosta sotto il tappeto dalle istituzioni e relegata ai margini dall’indifferenza della gente. Non tutta, per fortuna. Le prime comunità di recupero nacquero proprio per cercare di arginare e fronteggiare una situazione che si allargava a macchia d’olio. Quella fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli a Coriano, nell’entroterra riminese, è la più famosa.

È proprio sulla figura di Muccioli che la serie si sofferma. Il creatore, deus ex machina della comunità, il santone, il padre, il padrone. Chi è Vincenzo Muccioli davvero? Un uomo che ha accolto i tanti ragazzi piegati dalla droga, abbandonati nei bassifondi di una società inerme, dando loro amore e una casa. Curandoli con “iniezioni d’amore incondizionato”. Soprattutto, offrendo loro una prospettiva, un futuro. Questo è innegabile. Vincenzo Muccioli è stato uno dei primi ad accorgersi dei tossicodipendenti e a trattarli come esseri umani degni di rispetto e non solo come feccia.

Ma la prigionia, le catene, i maltrattamenti sono sintomo di rispetto? Questa è l’altra faccia della medaglia che SanPa mette sul piatto. SanPa ripercorre così il cosiddetto “processo delle catene” del 1983, nel quale Muccioli fu rinviato a giudizio e poi assolto per sequestro di persona e maltrattamenti per aver incatenato alcuni giovani della comunità. Ma anche quello del 1994 per la morte di Roberto Maranzano, ucciso da Alfio Russo (entrambi erano ospiti della comunità) per il quale Muccioli fu condannato per favoreggiamento.

Il primo ebbe una fortissima risonanza al livello mediatico e oggi, a 38 anni di distanza, pone ancora gli stessi quesiti e solleva gli stessi dubbi. È giusto imporre il bene a qualunque costo e in qualunque forma? La serie mette sotto i nostri occhi entrambi gli schieramenti. Ci sono i genitori sfiniti, sfiancati, arresi, di quei ragazzi che hanno potuto ritrovare la serenità grazie a Muccioli e che affermano “ben vengano le catene” se così hanno potuto riabbracciare i propri figli. Ma ci sono anche i testimoni diretti, ex ospiti di San Patrignano come Fabio Cantelli, Walter Delogu e Antonio Boschini che raccontano in prima persona cos’era la vita in comunità e com’era stare accanto a Vincenzo Muccioli.

SanPa ci mostra testimonianze spesso toccanti, come quella del figlio di Roberto Maranzano o del fratello gemello di Natalia Berla – morta suicida a San Patrignano durante il suo percorso terapeutico. Ma ci fa ascoltare anche le parole di avvocati e giornalisti che, all’epoca dei fatti, si trovarono a gravitare nell’orbita della comunità. Ci offre una panoramica imparziale su San Patrignano e sul suo fondatore, presentandoci chi lo osannava come il salvatore sullo stesso piano di chi lo considera un mostro. Forse l’unico vero giudizio negativo, ma è un giudizio storico, è quello sullo Stato italiano nell’affrontare l’emergenza eroina: impreparato, inutile, inesistente.

L’essere umano è complesso. Ha in sé luce e ombra. È molto difficile, se non impossibile, dare un giudizio su chi, come Vincenzo Muccioli, ha creato una realtà così importante. Fare il male cercando il bene è più facile di quanto si pensi. Ne sono un esempio tanti genitori, soprattutto di qualche decennio fa, che non sapendo come relazionarsi ai propri figli così diversi da loro, ricorrevano troppo semplicisticamente alle “maniere forti”. Ed è proprio a un padre che Muccioli pensava di se stesso quando si rivolgeva ai “suoi” ragazzi. Nel bene e nel male.