Woody Allen: la sua versione dei fatti nella discussa autobiografia

Un Woody Allen senza peli sulla lingua quello che emerge dalla lettura della sua autobiografia, A proposito di niente (La Nave di Teseo, 2020).

Leggere le 400 pagine del libro, per un amante del suo cinema, è come camminare a passeggio con Woody lungo le strade di quella New York di cui ormai sembra di conoscere ogni piccola sfumatura. Già dalle prime frasi di A proposito di niente ci si aspetta di vederlo spuntare in lontananza mentre la voce fuori campo, balbettante e nervosa, racconta la sua vita.

Uscito in anteprima mondiale in e-book ormai un anno fa, dopo non pochi problemi di pubblicazione, A proposito di niente sembrava porsi a conclusione di una “caccia alle streghe” che prosegue dal 1992 e che vede Woody Allen protagonista: molestatore, stupratore, orco. Un capitolo fondamentale della sua vita, quello del presunto stupro della minorenne Dylan Farrow, figlia adottiva dell’attrice Mia Farrow e di Allen stesso, che il regista decide finalmente di affrontare  nel dettaglio, fornendo in modo schietto la sua versione dei fatti.

Ma andiamo con ordine, perché in questo libro c’è ben di più del “semplice” gossip. C’è una vita intera. Raccontata con un montaggio perfetto, flashback e flashforward allettanti, stacchi e primi piani, ma soprattutto una colonna sonora meravigliosa. Ci sembra quasi di vederlo, questo film.

«Come il giovane Holden, non mi va di dilungarmi in tutte quelle stronzate alla David Copperfield»

Con questo incipit Woody Allen, nato Allan Stewart Konigsberg, inizia il suo viaggio nella memoria (e che memoria!). Dall’infanzia da cocco di casa all’odiatissima scuola, dalla passione per il baseball a quella per le champagne comedy. Dalle partite a poker alla scoperta delle ragazze.

Ce lo siamo sempre immaginato secchione, intellettuale, dedito a letture impegnate fin da ragazzo e dotato di una cultura sconfinata. Esattamente come i personaggi dei suoi film. Nemmeno per idea! Il suo sogno era diventare un giocatore di baseball o, in alternativa, un baro di professione. E rimaniamo esterrefatti nello scoprire le sue lacune – anche in ambito cinematografico – o i suoi gusti. Considera Il grande dittatore di Charlie Chaplin sopravvalutato e non trova divertenti Stanlio e Ollio, per fare degli esempi.

«A parte Le gang di New York, la mia biblioteca consisteva solo di fumetti. E non lessi nient’altro fino a sedici o diciassette anni».

L’ometto occhialuto ci ha tratto in inganno con i suoi film, lo pensavamo in giacche di tweed mentre altro non è che «un misantropo ignorante e patito di gangster»!

Il viaggio prosegue attraverso i primi passi nel mondo dello spettacolo, come autore di gag umoristiche, prima, e stand-up comedian, poi. Ci addentriamo con lui nel favoloso e impegnativo mondo degli autori e degli sceneggiatori. Woody Allen questo si considera: uno scrittore. Ben prima di essere regista, sa che la sua forza risiede nelle parole.

Ma il salto dietro la macchina da presa è inevitabile – «una combinazione di sudore della fronte, fortuna sfacciata e capacità di essere al punto giusto» – e allora ecco la carrellata dei suoi film. Allen li racconta uno per uno, con la memoria invidiabile di un 84enne.

L’autocritica non è mai velata, ma è soprattutto con l’ironia e l’umorismo che lo ha sempre contraddistinto che ci svela quelli che considera i suoi film migliori. Primo fra tutti Match Point – andato ogni oltre sua aspettativa – ma anche La rosa purpurea del Cairo, Mariti e mogli e Misterioso omicidio a Manhattan.

Ma è La ruota delle meraviglie quello che il regista newyorkese considera il non plus ultra del suo cinema. E allora non possiamo non parlare dell’ostracismo di cui è stato ed è tutt’ora vittima, in patria come nel resto del mondo. Il film, uscito durante la seconda ondata di accuse al regista, è l’occasione per affrontare di nuovo il «problema Mia Farrow». Già ampiamente raccontato qualche pagina prima, viene di nuovo esaminato da Woody Allen in modo obiettivo e in qualche modo distaccato.

La questione sembra quanto mai distante dal vedere una conclusione, dal momento che con il documentario Allen v. Farrow (HBO, ancora inedito in Italia) si è riaperta la discussione. Leggere la versione dei fatti di Woody Allen stesso, allora, è fondamentale per poter avere un’idea a tutto tondo sulla vicenda a quasi 30 anni dal suo inizio.

La sua è la testimonianza di un uomo consapevole di essere nel giusto. Per tutti è colui che ha stuprato sua figlia minorenne, ma non è così e il regista lo spiega senza mezzi termini. Riporta nel dettaglio fonti accertabili – le sentenze di assoluzione, ben due, e la testimonianza degli altri figli – e soprattutto i fatti: l’instabilità di Mia Farrow, la storia di Soon-Yi (21enne all’epoca) e le dinamiche familiari ben più drammatiche di quanto sappiamo.

La parola ai giurati. La conclusione di A proposito di niente non può che essere un elogio a quell’Europa che lo ha accolto negli ultimi anni e che ha saputo ritrarre in tutta la sua bellezza grazie ad alcuni dei suoi migliori film. L’aristocratica Londra di Match Point, la passionale Spagna di Vicky Cristina Barcelona e la sognante Parigi di Midnight in Paris.

Una domanda sorge spontanea: vedremo mai il suo ultimo film, Rifkin’s Festival?

Presentato in anteprima a settembre 2020 al Festival internazionale del cinema di San Sebastián, luogo in cui è stato girato, sarebbe dovuto uscire in Italia a novembre dello scorso anno. Ma la chiusura delle sale cinematografiche a causa della pandemia di Covid-19 ha infranto il sogno. Non ci resta che attendere.