La parabola di Mou che fu e l’antiquato Vigorito

Josè Mourinho fu Mou, the Special One, il filosofo di Setubal.

Il brillante trainer portoghese, alla guida del team nord londinese del Tottenham da poco più di un anno, è al tappeto.
Messo a a knockout da due cocentissime sconfitte in pochi giorni. Prima fiaccato dai Gunners, domenica scorsa, nel derby più sentito, quello con l’Arsenal, perso 2-1 dopo essere passato in vantaggio con un gol da antologia dell’argentino Lamela. Poi, giovedì, stroncato dalla Dinamo Zagabria che ha rimontato la sconfitta per 2-0 dell’andata, vincendo 3 – 0 con tripletta di Mislav Orsic, rispedito in patria dallo Spezia.

Mourinho non manca di professarsi interista ogni volta che può. Così è lecito pensare che abbia talmente interiorizzato l’Interismo, da essere oramai un perdente sistematico, vincente occasionale.

Negli ultimi dieci anni, da quando cioè dopo il Triplete della primavera 2010 lasciò Milano, ha vinto un solo trofeo internazionale, l’Europa League col Manchester United nella stagione 2016/2017. Ha vinto anche un campionato spagnolo, uno inglese e coppette nazionali varie. Un buon bottino per un normal one. Non per lui.

La sua fama e il suo mito si sono alimentati di imprese eccezionali. Vincere e stravincere a Porto, a Milano sponda Inter, a Londra sponda Chelsea.
Non è epico vincere la Liga a Madrid coi blancos, come non lo è vincere l’Europa League a Manchester con lo United.

Il filosofo di Setubal era tale perché capace di capovolgere in breve tempo la propensione alla sconfitta dei piccoli tra i grandi, dei figli di un dio minore tra i top team del continente, degli sgangherati oscillanti tra le fasce A, B e anche C della Champions.

Se nessuno ha mai parlato di Mou come di un profeta è stato solo per evitare la blasfemia. Mourinho ha sempre fatto delle sue squadre e delle società per cui lavorava dei nuclei di resistenza, una truppa di bastardi che andava a prendersi la gloria, a violare i templi sacri del football internazionale.

Il tecnico portoghese, belloccio e vanesio, caso unico, ha iniettato la sua una superlativa capacità comunicativa, il suo tratto beffardo, talora arrogante, nella sue tattiche, nel modo di essere dei suoi team. Rendendoli unici, odiati dagli avversari di un odio ipocrita che celava un’invidia, usata a sua volta da Mou per consolidare il coagulo società, team, tifosi. Mourinho ha sempre attinto forza dal «suono dei nemici».

Qualcosa si è rotto. I trofei non bastano più. La sua è parabola è discendente, almeno per ora. Il caso Tottenham è il paradigma del suo crollo.
Una stagione fallimentare dopo una stagione mediocre. Una squadra molle che non risponde ai desiderata del manager, incapace di reggere sinanche il modesto Zagabria.
Pallidi gigli, nero Mou.

La rottura nella squadra e tra la squadra è il tecnico è palese anche he se mai esplicitata. La star dei Lilywhites, Kane, non parla da mesi alla stampa e il suo è un comportamento che i quotidiani inglesi giudicano anomalo, visto che negli anni passati è stato sempre generoso di dichiarazioni. Il sospetto è che si sia eclissato per non dover mentire sullo stato del gruppo.
In campo la squadra è svogliata e qualche portale sportivo d’oltremanica ha messo a confronto la foga con cui sono entrati in campo i sostituti del Psg nella loro ultima gara di Champions, con la flemma e la svogliatezza dei panchinari del team londinese nell’ultima esibizione a Zagabria.

I bookmakers, che oltremanica sono analisti attendibili, quotano in forte ribasso la permanenza dell’ex Special One sulla panchina degli Spurs. Si tratterebbe del terzo esonero negli ultimi sei anni (anche se a Londra, per la consuetudine amichevole con Abramovich, nel 2015 fu adottata la formula della risoluzione consensuale)

In penisola

È rimasta solo la Roma a rappresentare il mediocre footbal italico nelle competizioni internazionali.
I nostri team non hanno saputo approfittare nemmeno della debolezza pandemica dei più forti.
Ci vorrebbe un Next Generation Footbal che si ponesse l’obiettivo di risollevare le sorti della pedata italica. Visti gli ostacoli continuamente frapposti dagli oscuri presidenti riuniti in Lega e la fragilità politica dei gruppi internazionali proprietari di Inter, Roma e Milan, è mera devozione sperarci.

Il virus, intanto, si è intrufolato nelle casacche nerazzurre. Quattro casi di covid (almeno tanti sono mentre scrivo) e qualcuno parla di campionato riaperto. E anche questa la dice lunga sulla vivacità che regna in campionato.

Il Milan ha scoperto di non avere un attaccante e che Ibra a 39 anni ha tempi di recupero dagli infortuni incompatibili con gli impegni agonistici di un team con ambizioni di vittoria. Mandzukic è stato un acquisto suggestivo ma per ora inutile e soprattutto invisibile. Non lo si vede nemmeno in tribuna.

Il campionato più interessante è quello per la salvezza. Il Crotone è spacciato. Il Parma anche, ma affatto rassegnato. Per l’ultimo posto sul vagone che porta in B è bagarre tra Torino, Cagliari, Spezia e Benevento. La Fiorentina, vincendo dove Manfredi di Svevia perì, sembrerebbero essersi sottratti alla pugna. Una vittoria contro il Milan la consoliderebbe in zona sicurezza.
I sanniti hanno la rosa più debole e lo spogliatoio in subbuglio. Anche oltre il ridicolo il ritiro disposto da DS la domenica e revocato il lunedì dal Presidente. Vigorito è tanto ricco quanto antiquato nei modi, nei metodi e nel modello gestionale. Ha, però, anche il tecnico più determinato.