Il Leonardo di Rai1: tartine e prosecco al vernissage del Genio di Vinci

Anni fa sul settimanale Carta, una delle riviste della sinistra altermondialista (mediaticamente definita “no global”) comparve una simpatica rubrica, La cavia, nella quale un redattore recensiva con ironia pungente cibi e bevande moderne e dal dubbio gusto. Così, numero dopo numero, comparvero mostruosi esempi del junk food globalizzato, dal famigerato (e presto dimenticato) cono-pizza alle sottilette ripiene.

Confesso di essermi sentito un po’ come il succitato redattore-cavia quando ho deciso di cliccare il tasto play per immergermi nella nuova miniserie Leonardo. Otto puntate, una produzione internazionale e un cast di livello non certo basso – da segnalare Aidan Turner nei panni di Leonardo stesso, accanto a Matilda De Angelis, James D’Arcy e Giancarlo Giannini.

Gli elementi per il successo, dunque – almeno a livello di audience – erano già tutti sul tavolo. Non si è lasciato sfuggire l’occasione di compiacersene il ministro della cultura Dario Franceschini, che la mattina seguente alla messa in onda ha twittato soddisfatto: “Gli ascolti hanno premiato un’altra volta la scelta di unire storia, bellezza e Italia. Il successo di #Leonardo un’altra indicazione per la #Rai ad investire sempre di più in cultura, cinema, audiovisivo.”

Il quadretto perfetto è servito: successo garantito, milioni di telespettatori (complici le scarse alternative in tv, forse, o almeno il coprifuoco serale?), l’Italia che esporta ancora una volta fiera il buon nome di un suo Genio, Mamma Rai che centra l’obiettivo di darci la sua medicina a base di intrattenimento educativo, o edutainment, come piace dire con termine inglese. D’altra parte Franceschini è stato chiaro sul successo raggiunto: ce lo dicono i numeri.

Eppure qualche segnale in direzione contraria c’era già prima della messa in onda, o almeno una vaga sensazione di disagio l’ho provata io, prima di cliccare il tasto play sul sito della Rai – mi perdonerà il ministro se l’ho vista sul sito dell’azienda e non in prima visione serale davanti alla tv, non contribuendo forse ai grandi ascolti testé sottolineati del serale.

Il trailer parlava chiaro, l’atmosfera è quella oscura e intrisa di mistero che tanto piace a scrittori, sceneggiatori e registi quando devono approcciarsi al Genio di Vinci: siamo in qualche modo sul filone inaugurato dal Codice di Dan Brown anni addietro, più che dalle parti del più sobrio e documentato sceneggiato Rai del 1971, quello con Philippe Leroy nei panni di Leonardo e ammirevoli rimandi alle Vite di Giorgio Vasari (edutainment prima dell’edutainment, quest’ultimo).  

Poi si aggiunge Matilda De Angelis, coprotagonista della serie, che dichiara con angelico candore (questo sì leonardesco) nel salotto di Mara Venier: “Una vita di Leonardo con l’occhiolino però anche alla televisione, non è che se po fa’ ‘na rottura de palle su Leonardo da Vinci”. 

Insomma, clicco il tasto e parte la visione: un minuto e sette secondi dall’avvio e già compare la parola “mistero”, fin dai titoli di testa, il trailer mantiene la promessa. Da lì in poi la strada è in discesa (agli inferi), tra strafalcioni linguistici, incongruenze storiche, recitazione e doppiaggio a tratti in linea col prime time di Rai1, personaggi ed episodi – sostanziali e non accessori nel racconto – completamente stravolti o inventati di sana pianta. C’è anche il proverbiale omicidio su cui indagare. Ma sul vernissage allestito nella bottega del Verrocchio per presentare al pubblico il Battesimo di Cristo – una festicciola affollata in cui mancano solo tartine e calici di prosecco – sobbalzo dal torpore in cui sono caduto. La prima e la seconda puntata vanno avanti così. Queste sono le uniche al momento disponibili, poi verranno le altre, lasciandoci in trepidante attesa.

Suvvia, si dirà, è solo una fiction! Possono avere gli sceneggiatori la sacrosanta libertà di narrare la storia che vogliono, prendendo solo spunto – dichiaratamente – dalla biografia del Leonardo storico? Certo, andate e fate, Leonardo ne ha già scavati di metri, rotolandosi nel suo sepolcro in terra di Francia, che sarà mai qualche giro in più. Magari, visto che di vinciani famosi ne esistono già due, Leonardo e Pierino (grande scultore del ‘500), cambiategli pure il nome: chiamatelo, che ne so, Misterioso da Vinci, così sapremo già cosa aspettarci, se vogliamo starne alla larga.