Questione di varianti

 

Variante politica

Il loop mediatico che associa il vaccino AstraZeneca alla parola trombosi imperversa da settimane. E mai avremmo creduto che un’intera nazione sarebbe finita a parlare di una patologia cardiovascolare con la stessa scioltezza con cui solitamente ciancia di previsioni del tempo, rigori non dati e ruberie politiche.

La farmacovigilanza giura approfondimenti sulle possibili correlazioni tra somministrazioni ed eventi trombotici sospetti, ma al momento differisce il verdetto. Tranquillizza, ma non troppo. Preferendo scaricare sul singolo decisore politico eventuali contraccolpi ai piani vaccinali. Così ciascuno fa da sé, in attesa dell’approvazione, da parte dell’Unione Europea, di altri vaccini, da acquisire, magari, in sede di trattativa, con approccio meno pollesco, nonché meno opaco, sul tema delle forniture.

La Gran Bretagna siringheggia a tappeto. L’Olanda sospende. Francia e Germania utilizzano il preparato anglo-svedese per le fasce d’età in cui sembrerebbe non dar problemi. L’Italia è in procinto di seguire il modello franco-tedesco. Solo agli over 60 verrà inoculato il vaccino AstraZeneca. Che, oltretutto, per dovere di marketing, ha cambiato il proprio nome in Vexzevria e ha integrato il proprio bugiardino con il vocabolo “trombosi” nella sezione dedicata agli effetti collaterali molto rari.

Intanto, il panico da vaccino di serie B non ha tardato a incidere sul comportamento dei molti vaccinandi disertori. Con punte del 30% di assenteismo in alcune hub di Campania, Sardegna e Sicilia: tregua armata, dunque, tra i sostenitori dell’immunità di gregge e i sostenitori dell’immunità di corporazione.

A poco sono servite, in tal senso, le rassicurazioni sul rapporto rischi/benefici promulgate, con scrupolo istituzionale, dal mondo della virologia nella sua quasi interezza. L’agire umano raramente si conforma a razionalità e matematica. Soprattutto se di mezzo c’è la salute. Soprattutto se si tratta di somministrare a persone sane farmaci approvati in via emergenziale a scopo preventivo e non curativo.

In qualche caso è stata ventilata, nell’estremo sforzo di persuadere gli scettici, persino l’ipotesi complottista, mai così credibile. Con l’esaltazione dietrologica a far sfoggio del proprio lessico spumantizzato di primissima qualità: una nebulosa inebriante di warvax tra Est e Ovest, biogeopolitica, arrembaggio affaristico, guerra commerciale camuffata tra colossi farmaceutici, eccetera, eccetera.

Frasi fatte, pensieri sfatti e l’atroce dubbio che il vaccino più economico sul mercato, pur dando buona prova di sé (basti guardare com’è stata piegata la curva del contagio in Gran Bretagna), sia sin troppo vantaggioso per non essere sospetto. Anche se il rapporto tra reazioni avverse potenzialmente correlate e somministrazione vaccinale si attesta nell’ordine dei 60 casi su più di 35 milioni di persone immunizzate. Numeri che, per coerenza, una volta approfonditi e comparati con quelli di altri farmaci più familiari, rischierebbero, presso il senso comune, di far riclassificare la tachipirina tra le armi di distruzione di massa.

Variante psico-sociale

Il rapporto rischi/benefici non è una pratica esclusiva di chi si occupa di vaccinazioni. Anche molti commercianti ci si sono cimentati, approdando alla conclusione dell’estrema concretezza del rischio derivante dalle chiusure prolungate contrapposta all’estrema astrattezza dei benefici sanitari ottenuti. Soprattutto alla luce di un anno Covid che si accinge a trasformasi in un biennio Covid che nelle psicologia collettiva viene vissuto come un’era Covid.

Tra spaesamenti quotidiani, disturbi della socialità approfonditi, rimozioni creative, negazionismi tecnicamente deliranti e altre creature pandemiche, c’è chi sottolinea, nelle piazze, in questi giorni, la malintesa idea di lockdown dei dipendenti pubblici o di tutti coloro che sono riusciti a convertire, magari a fatica, in smart working le proprie attività lavorative. Reclamando attenzione e non più lenti ristori, pardon, sostegni. Oppure, reclamando maggiori tutele. Come i dipendenti di Amazon, costretti a pisciare nelle bottigliette, nel bel mezzo dell’Occidente dei diritti, per rispettare i tempi delle consegne. Per rispettare, a distanza di innumerevoli battaglie sociali in progressivo smantellamento, tutti i passaggi salienti della teoria del plusvalore.

C’è pure chi sottolinea, però, scomodamente da casa, il sacrosanto e disimpegnato diritto alla vitalità, fottendosene di delatori, moralisti e claustromani. Perché dopo un anno di coprifuoco, di reclusioni a diverso voltaggio, di amuchinizzazione dell’Essere e mascherinate full time, sarebbe contronatura non farlo, nietzscheanamente parlando. Sarebbe dissipazione dello spirito: anche il gusto per lo svago nobilita l’uomo.

Variante giornalistica

Da quando il giornalismo ha scoperto l’esistenza delle varianti virali, le varianti del giornalismo che meglio si adattano alle pressioni selettive del mercato dell’informazione hanno trovato terreno fertile per proliferare.

Ogni giorno spunta una variante virale d’alta moda “più contagiosa e probabilmente resistente al vaccino”. Ogni giorno, senza che venga fornita alcuna spiegazione o prova scientifica a sostegno della nuova minaccia, la stanchezza psicologica dell’opinione pubblica viene ulteriormente appesantita da articolacci catastrofisti dalle dubbie finalità giornalistiche. Con il conseguente insorgere su larga scala di un intruglio emozionale caotico composto da impassibilità (effetto “al lupo! Al lupo!), depressione e rabbia.

Il tutto mentre gli psichiatri di ogni dove lanciano l’allarme sul significativo aumento dei suicidi concomitante col prolungarsi delle restrizioni finalizzate al contenimento del contagio.