Belacqua, il pigro dantesco che stregò Beckett

Il 2021 è stato scelto come anno delle celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, con conseguente istituzione del Dantedì, la giornata dedicata al poeta fiorentino, morto a Ravenna nel 1321. 

Inutile dire che l’influenza dell’Alighieri nei secoli è stata duratura e diffusa, nello Stivale così come all’estero. L’accettazione delle sue opere, tuttavia, non è sempre stata così unanime e lineare. Se da una parte la tradizione delle pubbliche letture dantesche risalirebbe già al 1373 per opera di Giovanni Boccaccio, dall’altra bisogna considerare che La Monarchia rimase all’indice dei libri proibiti dalla Chiesa fino al 1881, cioè dieci anni dopo l’istituzione di Roma come capitale del Regno. 

Poco meno di cent’anni fa, la lunga influenza di Dante raggiunse uno dei più grandi innovatori del teatro del secolo passato, Samuel Beckett. Già dalla sua prima opera, il saggio “Dante… Bruno. Vico… Joyce”, l’Alighieri fece il suo ingresso nella produzione del drammaturgo irlandese. Il personaggio centrale attorno al quale ruota l’influenza del poeta fiorentino è senza dubbio Belacqua. Chi era costui?

Al secolo Duccio Bonavia, Belacqua era un liutaio fiorentino famoso per la sua indolenza. Amava starsene seduto e oziare, senza affaticarsi in inutili attività mondane. Aveva tratto la sua giustificazione da Aristotele, per cui era pronto a rispondere alle critiche che “la saggezza dell’anima si raggiunge stando seduti e riposando”. A che scopo affannarsi, allora?

Ci troviamo nel Purgatorio, anzi nell’Antipurgatorio (canto IV). Dopo essersi separati dalla maestosa figura di Manfredi di Svevia, Dante e Virgilio si ritrovano in un’atmosfera ben più sommessa, dove dimorano i pigri e tra essi, per l’appunto, Belacqua.

Avendo aspettato tutta la vita prima di convertirsi, i negligenti devono aspettare – per analogia – una uguale durata prima che le porte del Purgatorio si aprano per loro. Una lunga zona rossa precederà quindi l’avvicendarsi della zona gialla. C’è tutto il tempo per sedersi e aspettare Godot…

Dante e Virgilio stanno disquisendo di questioni latidudinali riguardanti Gerusalemme e la montagna del Purgatorio. Il poeta mantovano spiega allora al pellegrino che la salita sarà molto impegnativa, anche se più ardua all’inizio che alla fine:

Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant’om più va sù, e men fa male.

Non appena finita la dotta spiegazione di Virgilio, arriva l’inaspettato commento di Belacqua, che di colpo inverte completamente il tono del canto, prendendosi gioco di Dante e, chiaramente, della fatica che lo attende. Dante scalerà la montagna, certo, ma prima avrà sicuramente voglia di sedersi un po’:

una voce di presso sonò: «Forse
che di sedere in pria avrai distretta!»
 

L’inutilità dello sforzo è sicuramente un tema caro a Beckett. Belacqua si domanda a cosa servirebbe scalare la montagna, sapendo che l’accesso al Purgatorio gli è momentaneamente negato. 

Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
ché non mi lascerebbe ire a’ martìri
l’angel di Dio che siede in su la porta. 

Samuel Beckett si innamorò di questo singolare personaggio della Commedia. L’immobilità, la pigrizia, l’attesa, l’inanità e l’ironia sono tutte caratteristiche che ritroveremo nelle sue opere. Come ha scritto Aldo Tagliaferri, Belacqua è “il personaggio che ironizza sulla stupida ossessione dell’elevazione e dell’ascesi”. La nostra società, con le sue attese, il suo continuo sviluppo, il suo bisogno di crescita ed estensione viene quindi messa in dubbio, denudata, derisa. Il nucleo della riflessione è allora: andare in su che porta? 

A una sostanziale e leopardiana rinuncia all’azione (“Non val cosa nessuna / i moti tuoi, né di sospiri è degna / la terra”), altro autore caro a Beckett, quest’ultimo ha sempre aggiunto una buona dose di sferzante ironia e di paradossalità. Motivo che lo portò a individuare in Belacqua un valido antenato dei suoi personaggi letterari. 

Lo stesso Dante, d’altronde, non poté non ritrovare il sorriso in presenza del celebre liutaio. Gli scambi di battute tra i due, infatti, sono di tono vivace ma sostanzialmente amichevole. Difficile trattenere l’ilarità, finanche nell’Antipurgatorio:

Li atti suoi pigri e le corte parole
mosser le labbra mie un poco a riso; 

Questo noto esempio ci dà allora la misura dell’influenza dantesca nelle sue declinazioni più svariate, anche a partire da un canto assolutamente minore e da un personaggio sicuramente secondario. Una scia che sembrerebbe aver raggiunto solo secondariamente il ministro della cultura Dario Franceschini. Infatti, proprio nel giorno del Dantedì, il ministro ha preferito cavalcare l’onda del sensazionalismo in merito a un discusso articolo del critico tedesco Arno Widmann su Dante, pubblicato sul Frankfurter Rundschau: con un tweet volto a trasformare la critica letteraria in una finale dei mondiali, al fine di strappare una manciata di consensi. Forse “sedendo e riposando” avrebbe potuto evitare l’infausta sortita. O forse è stato seduto troppo a lungo?