La ragione è dei belli

Andrea Scanzi è uno dei giornalisti più seguiti d’Italia e il suo profilo Facebook conta oltre 2 milioni di follower. Svariati sono gli argomenti di cui il giornalista aretino si occupa sui social network, con grandi risultati in termini di interazioni e popolarità.

Basterà tuttavia sfogliare rapidamente i suoi interventi politici per rendersi conto di una costante piuttosto inquietante: le sole immagini presenti sulla sua pagina possono farci capire rapidamente chi sono i buoni e chi sono i cattivi, anche senza leggere i post. 

Niente di male – si potrà obiettare – poiché ognuno è libero di agire come vuole nella propria casa virtuale, almeno finché ha dalla sua la benedizione di Zuckerberg. Il messaggio veicolato da questa prassi potrebbe però meritare una breve riflessione.

Negli interventi di Scanzi, il nemico giurato o il bersaglio delle critiche non deve soltanto apparire nel torto per le sue idee. Deve soprattutto sembrare brutto, goffo, sovrappeso, fuori forma, inebetito, deformato o ridicolo. La critica politica mossa da Scanzi si sposa inevitabilmente con le gocce di ketchup che colano dall’italico hamburger sguaiatamente addentato da Salvini. 

La destituzione del nemico passa necessariamente dal suo essere fisicamente non conforme ai canoni estetici dominanti. Mentre Giuseppe Conte appare sempre impeccabile, rassicurante e sinceramente crucciato per le sorti imminenti della nazione, l’antagonista viene mostrato al fine di suscitare un’istantanea e involontaria comicità. Lo troveremo immortalato mentre mangia sgraziatamente, quando è a bordo piscina pur non avendo superato la fatidica prova costume, oppure durante un momento d’ira o agitazione. Immagini che ne fissano in automatico la personalità e la scarsa credibilità, stuzzicando il pubblico ludibrio. 

A quale reazione si vuole allora spingere la massa? Perché non è sufficiente la critica delle idee o delle azioni?

Già Beppe Grillo si era dimostrato maestro di questa pratica derisoria che pone l’accento sull’aspetto fisico. Ne sono prova soprannomi come psiconano per Berlusconi, Gargamella per Bersani, tra gli altri, senza considerare il ricorso costante alle storpiature di nomi: Corrado Vermigli, Gad Vermer, Umberto Cancronesi, ecc.

Una reminiscenza, parrebbe, con tutte le assolute differenze del caso, di quel famoso naso adunco che fu indiscusso protagonista delle vignette antisemite pubblicate dalla stampa fascista sul finire degli anni 30 del secolo passato. Le vicende di Assalone Mordivò, pubblicate dal Balilla, narravano ad esempio le gesta di un ebreo scaltro e inaffidabile, espulso a pedate dall’Italia, accomunato ad altre vignette di contenuto simile dalla stessa identificazione del tratto fisico, ossia la presenza del naso a uncino. 

La ridicolizzazione fisica del nemico sembrerebbe essere una caratteristica comune a tutte le personalità di spicco che orbitano intorno alla galassia pentastellata: non si potrà certo escludere Marco Travaglio, creatore negli anni di numerosi nomignoli del tipo grissino per Fassino, mortadella per Prodi, cainano, nanefrottolo, Al Tappone per Berlusconi, ecc. 

Questa sorta di corrispondenza tra il bello e il buono, che in riferimento alla Grecia classica porta il nome di kalokagathia, si situerebbe alla base della retorica dell’offensiva penstastellata. Gli eroi omerici fanno quindi spazio a Conte e a Di Maio che, ritratti nel loro aspetto mai trasandato e negletto, diventano simboli indiscussi di verità e virtù.

Dal caso specifico di Scanzi, oltre ai difetti fisici, si potrebbe anche dedurre la massima per cui “la fama è misura di tutte le cose”. Il torto dei nemici è provato anche dal fatto che la loro popolarità sia infima o inferiore, a riprova della loro misera e fallace esistenza. Alcuni esempi, tratti a caso da Facebook: “un tizio involontariamente esilarante chiamato (credo) Nobili”; “C’è questo tizio, mi pare si chiami Calenda, il Bombolo perdente della politica”; “Sconosciuto a tutti, immagino anche a sé stesso. Tal Marco Rizzone”, ecc. 

Al di là delle convinzioni personali – non si tratta qui di difesa politica dei personaggi nominati – questa breve riflessione conduce quindi a qualche interrogativo: in che modo il governo dei più fighi sarebbe garanzia di qualcosa? E sarebbe dunque proprio questo il bello della politica di cui tanto si parla?