Battiato: attraversato il bardo

Poetica, amore e invito al viaggio

Ora, attraversando il bardo, l’anima di Battiato è in quell’altrove verso cui, per tutta la vita, ha rivolto la sua tensione.
E con la sua opera l’ha rimbalzata a noi.

In un caso come il suo, occorrerebbe stare tutti attorno al suo corpo, in religioso silenzio. E non come nel finale di Maccheroni, nella speranza che la sveglia suoni ancora, ma, vincendo l’egoistico desiderio di averlo ancora tra noi, vegliare per quel che sta accadendo al di là dei nostri corpi e di questa dimensione, in un prato innevato dove si vivono esperienze qui impensabili ed inaccessibili. Qui, avanti un miracolo che non si può assistere, come antichi egizi fiduciosi del leggero cuore del grande scriba mentre procede verso i campi Iaru, o come tibetani a recitare il bardo todol, il libro dei morti, affinché raggiunga il meritato nirvana e non torni ancora.

Non traccerò la cronologia biografica del poeta, c’è tanto materiale in circolazione per conoscere la sua infanzia siciliana, il primo incontro con Bach, la sua migrazione terrena verso Milano e nel mondo musicale degli anni ’60 e ’70, il suo prodursi incessantemente nella sperimentazione, con il sintetizzatore VCS3 ed il battito del cuore ad avviare il concept album Fetus, due anni prima di The Dark Side Of The Moon, l’incontro con Stockhausen, gli studi di armonia e composizione, le letture di Huxley, Guénon, Gurdjieff, lo studio del sufismo, dell’induismo, del buddismo, la sua consapevolezza nel decidere che il periodo sperimentale fosse terminato e che fosse ora di calare sul tavolo un disco di grande successo per il mondo pop, né tutto il percorso espressivo che Battiato ha battuto per la sua via.
Negli ultimi decenni la sua attenzione si era rivolta anche al romanticismo eroico di Beethoven e poi alla vita più austera di Händel, apparentemente lontanissimi dalle sue prime ispirazioni. Non ci sono dubbi che in un’altra vita avrebbe rielaborato Mozart o il sankyoku.

Il risultato è che, acceso in lui il desiderio di esprimersi in musica e tuffandosi nel centro del fermento musicale del suo tempo, febbrilmente partecipando al consueto e, specialmente, all’inconsueto, emerge una figura che va oltre il suo tempo: un sulfureo etneo con i piedi poggiati sulla Sicilia pitagorica e lo spirito in lungo viaggio dalla Mesopotamia all’Est Europa, volando sulla Turchia e abbracciando l’intera culla del Mediterraneo, con gli occhi a scorgere l’Asia.
Sembrava appartenere ad un ciclo di vite iniziato dai primi anni della storia e della saggezza umana per essere ancora, eccezionalmente, qui ed ora.

La poetica

Chiaramente l’arte di Battiato, pur dalla vanità della necessità di emersione, aveva un intento comunicativo, un messaggio da veicolare: l’uomo è un animale imperfetto che gravita in una vita effimera, dominato dall’ego e dall’opportunismo sociale, che avrebbe facoltà e dovere di conoscersi e migliorarsi.

Che siamo angeli caduti in terra dall’eterno.
Senza più memoria. Per secoli. Per secoli.
Fino a completa guarigione.

Ma questo anche nell’ispirazione musicale. La frenesia avviata da un fortuito incontro con la sonorità sacra di Bach, gli mostra un linguaggio e delle profondità dell’animo da sondare ed esprimere. Un piano diverso del mondo e della vita. Una rivelazione da far fluire in sé e verso gli altri.

Se ideologicamente talvolta è sembrato che Battiato gettasse sul tappeto con troppa facilità concetti presocratici o fantasie descrittive irrealistiche (di Prospettiva Nevski lui stesso disse “è una cazzata”, ma anche lì c’era, nella neve candida del tessuto sonoro, un messaggio da raggiungere alla fine), questo assolutamente non è nell’atto artistico, dove la sua poesia, nell’intreccio espressivo musicale e significativo, assurge a semplice perfezione.

La sua prima uscita pop, disco record italiano che supera il milione di copie e a tutti fa cantare versi inconcepibili prima del suo avvento, innesta in realtà genialità ormai maturate e conoscenze usate con una convinzione straordinaria. L’uso della voce per esempio: è evidente come Battiato si sia perfezionato meticolosamente nell’uso dei registri, in particolar modo nella cosiddetta voce di testa, così come nelle monodie ed eterofonie arabe, nel gutturale, nelle chiusure delle vocali del canto orientale, negli armonici naturali e nel canto armonico.

Summer on a solitary beach, dal titolo e dal ritmo adatti ad una canzone per l’estate, presenta armonizzazioni vocali tipiche della trifonia mongola, che, mentre il mondo inquieto e contemporaneo alle spalle della spiaggia con un “grido copriva le distanze”, rappresentano la spinta ascetica per un naufragar nell’infinito. È il bardo che ora ha attraversato.
E questo ha fatto veicolare dalla bocca di milioni di persone con una canzonetta.

Che dire dell’armonizzazione dei cori maschili e delle voci da soprano che si innestano in una adolescenziale Cuccurucucu? Tutte “stramberie” in realtà puntuali come il genio.
Tutto ciò è il residuato di un nutrimento da culture diverse, nel tempo e nello spazio, e tutte accolte, con gioia, sorpresa e desiderio. E rivolte al mistero, come la cripticità esoterica dei suoi testi. Non è solo un messaggio dogmatico, ma l’invito ad un viaggio, che ha già vele spiegate da millenni verso un mondo nuovo.
Etica ed estetica: la poetica di Battiato è la più alta espressione anche politica della nostra musica popolare contemporanea.

L’Amore

Tra le altre, due si possono considerare in assoluto tra le più belle canzoni d’amore di sempre: E ti vengo a cercare e La cura. E in nessuna delle due la parola amore è presente. È la luce che tutto muove e dalle cui ombre si tende.

C’è sempre stato qualcuno che ha voluto sottolineare come non fossero in realtà canzoni d’amore, ma si sbagliava del tutto!
L’estasi amorosa verso il divino ha una tradizione letteraria e artistica vasta. Nell’occidente cristiano è spesso la carne a rivolgersi ad un dio fatto uomo, nell’espressione carnale del peccato da sublimare verso il corpo divino, in altra volontà di mortificarlo nel piacere. In oriente è piuttosto, invece, emanazione sempre più alta e cosciente verso tutto il creato, in una compressione di pietas e amore assoluto.

La Cura - Franco Battiato
Immagine tratta dal video de La Cura

A quest’ultimo non è estraneo il semplice desiderio dell’altro, come parte dell’Altro. Dopotutto “con la scusa di doverti parlare, perché mi piace ciò che pensi e che dici” è tranquillamente interpretabile nel quotidiano sentimentale. La molteplicità dell’amore è una categorizzazione a cui la poesia sfugge.

Ricordo che Battiato presentò La Cura durante un’intervista notturna, così, in anteprima, con nonchalance. Probabilmente ero tra i pochi telespettatori, il mondo attorno a me era caduto nel sonno in preda all’affaccendarsi giornaliero. Rimasi stupefatto. Chi sta cantando? Una divinità che ti prende in braccio una volta giunti al suo cospetto? O, meglio, un Io superiore che trasporta l’animale che ci portiamo dentro, quello dell’amore cieco e indissolubile nelle nostre cellule, verso voli d’aquila, lidi sconosciuti, coscienze e conoscenze superiori? Certamente è in ogni caso amore, per cui quali parole più potenti e dolci può un amante rivolgere all’altro se non

I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi
La bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

I sensi, la carne, i capelli, una giovinezza eterna che non bada al tempo, che normalmente passa e scoraggia, riuscire ad invecchiare senza diventare adulti, andare oltre le piaghe del tempo e degli umori.

L’elevazione del piccolo umano a divino è musicalmente mozartiano. Il genio salisburghese lo musicò anche in vere e proprie azioni ne Il flauto magico. Pamino e Tamina percorrono assieme le vie che portano all’essenza. Superano le correnti gravitazionali di dure prove: stare divisi, credersi non amati, essere immersi in una società di urla e grida che coprono le distanze, di intrighi, di passioni basse, di parassiti senza dignità, ambiguità e falsificazione di cosa è giusto e cosa non lo è. Quando entrambi ce la faranno, il loro amore non sarà rappresentato da piccole gioie quotidiane ma da un amore cosciente ed eterno.

Non è una filosofia dura e sacrificale, Battiato danza, si inebria di vino, ride, gioisce, osserva la natura, è gentile con ogni essere, ha un animale da tenere a bada con vana pazienza, e infine bisogna pur che il corpo esulti! Il male è nell’essere assoggettati ad un ego incosciente, incapaci di vedere cosa abbiamo intorno, una pianta, una formica, un uomo, accettare il potere, proprio e degli altri, essere schiavi dell’arrivismo, dei bassi istinti e del dio denaro.

Passaggio al Lieder

Col passare degli anni, Battiato si spoglia di tutto ciò che la ricerca e la sete di conoscenza ha trasformato in orpello. Approda così alla liederistica, massima vetta vocale della musica occidentale, avulsa da qualsiasi abbellimento, gorgheggio ed effetto. In Come un cammello in una grondaia propone una sua interpretazione di Schmerzen (R. Wagner), Plaisir d’amour (J. P. A. Martin), Gestillte Sehnsucht (J. Brahms) e Oh Sweet Were the Hours (L. v. Beethoven) ma, specialmente, ci propone quattro suoi gioielli: Povera patria, Le sacre sinfonie del tempo, Come un cammello in una grondaia, L’ombra della luce.

La voce non ha più multiple sovra-incisioni, né stilemi orientali, si scarnifica. È una viola in ensemble con pianoforte ed orchestra. Battiato si fa definitivamente strumento nudo. Cristallizzato. Infatti potrà permettersi di eseguire semplici fiori raccolti dalla storia della canzone, risultando l’unico a poter cantare De André senza sentire il bisogno di quella voce scultorea, ad eseguire un’Era de maggio di piena grazia e tormento, pur non avendo alcun accento napoletano, ma senza niente di melenso o didascalico, così come Endrigo, Ferré, Lauzi, Brel e tanti altri. Un omaggio alla canzone popolare senza mai perdere la propria poetica, che è fatta anche di atteggiamento, di raffinatezza, di postura, di semplice seduta su un tappeto.

Vegetarianesimo

Esattamente come il suo avo d’elezione, Pitagora, Battiato non poteva che essere vegetariano. Ideologicamente, come per filosofo della Magna Grecia, credendo nella metempsicosi non avrebbe potuto cibarsi di anime reincarnate. Ma, come sempre fuori da qualsiasi concezione teoretica, bensì vissuta e vivente, ripudiava la violenza insita nello sfruttamento di altri esseri senzienti, fosse anche sedersi sulla schiena di un cavallo e ordinargli dove andare. In Sarcofagia canta

Come può la vista sopportare
L’uccisione di esseri che vengono sgozzati e fatti a pezzi
Non ripugna il gusto berner, gli umori e il sangue
Le carni agli spiedi crude
E c’era come un suono di vacche
Non è mostruoso desiderare di cibarsi
Di un essere che ancora emette suoni
Sopravvivono i riti di sarcofagia e cannibalismo

E anche laddove è la dinamica della natura a fare uccellacci ed uccellini, come in guerra, il poeta chiede agli uomini di non accettarla, come sempre elevandosi dal destino di brutali esseri sociali senza senso.

Il Maestro

Franco Battiato detestava l’epiteto che per lui era da rivolgere ai grandi illuminatori dei segreti spirituali. Preferiva Francuzzo. Ma maestro è quello che in vita ti è di esempio, e lui è l’ultimo di cui ci si possa chiedere sempre “cosa ne avrebbe pensato?”

Possiamo fidarci perché conosce la belva umana e la fugacità della vita, con i suoi dolori e le sue pene. Ci dice: – sei nato, magari senza amore, vivrai tra affanni e patemi, vacue speranze e sentimenti finti. Ricordi quando in auto ascoltavi Giubbe Rosse e cantavi con rammarico:

Che cosa resterà di me, del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che ho preso in questa vita?

Niente, nemmeno quello stesso ricordo. Della prima goccia bianca, dei pranzi con i nonni, delle voglie irrazionali, di quei minuti sul dondolo, dei primi accordi su un organo. Niente. Tutto svanirà con te. Anche quel che sai e hai amato di altri, di Benedetti Michelangeli o Socrate, di Leonardo o Napoleone, finirà con te. Nel momento dello spavento supremo. E nessuno ne sarà testimone.

Eppure c’è una via. Non posso rivelartela, posso solo indicarla. Come faceva il mistico Ramana Maharshi a chi chiedeva lezioni di meditazione. Conosciti, lavora per vivere meglio e prepararti. Ascolta!
Ti invito. Senti? Riesci a sentire? –

Infatti la poetica di Battiato fa sì che quel che esprime è vero, assolutamente vero. Da credergli.
L’arte corre dove la ragione arranca, la musica va dove la parola ammanca.

Battiato in un’intervista del 2014
da Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich

Ora, come un altro viandante, ma non su un mare di nebbia dall’alto di un monte, bensì rivolto a questa vallata iper-metropolitana, sotto nubi scure capaci di essere illuminate solo dalle luci dei led e della guerra, come nei cieli di Baghdad dove Battiato, con ulteriore estremo atto politico, si recò a fine guerra americana, e pur se costellato il cielo di fiochi astri lontani;

pur volendo fortemente crederti ormai in un’altra dimensione, nel dubbio che una mente affievolita man mano possa avere un risveglio dopo l’ultimo respiro,
canto, con la tua voce che a fine poesia, sospesa assieme all’orchestra:

Come piombo pesa il cielo questa notte
Quante pene e inutili dolori

Io intanto sto cercando un’ottima occasione per acquistare un paio d’ali.
E nel contempo ti vengo a cercare. Con la scusa.