Fase 2: Lombardia e Calabria procederanno di pari passo, difficile capirne il motivo

Il 4 maggio sposterà poco, davvero poco. Qualche riaperturina qua e là, prezzi delle mascherine (non ancora obbligatorie) calmierati e liste di proscrizione dei runner abolite. Conte, dopo 20 minuti di appelli al distanziamento sociale, pillole motivazionali non ispiratissime e cenni al recovery fund che ci hanno fatto rimpiangere il peggior euroburocratese, lo ha detto molto chiaramente (beh, non così chiaramente): ci vuole gradualità. Dunque, rassegnamoci, ed è un rassegnamoci delle grandi occasioni. L’albeggiare della fase 2 somiglierà parecchio al tramontare della fase 1. Rasenteranno l’indiscernibilità. Una buona notizia per gli ipocondriaci, pessima, invece, per coloro che non hanno risparmi e non possono lavorare.

Le misure saranno le stesse per tutto il paese, proprio come avevamo paventato nel peggiore degli scenari possibili. La Calabria, che ieri ha incrementato di un’unità il dato complessivo dei positivi, dovrà seguire le medesime restrizioni della Lombardia, che ieri ha incrementato il dato complessivo dei positivi di 920 unità. Non è previsto alcun distinguo. Né su base regionale, né per macroaree. Si pensi che la somma dei positivi di Lombardia, Emilia e Piemonte, stando agli ultimissimi aggiornamenti, copre il 66,9% dei nuovi contagi nazionali, mentre la somma dei positivi di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Molise, Sardegna, Sicilia e Abruzzo copre appena il 6,4%.

In sostanza, la già ultradepressa economia del Mezzogiorno sarà condannata al raggiungimento del fondo del fondo, se non alla totale sparizione, per ragioni politiche che francamente, numeri dell’epidemia alla mano, stentiamo a capire. E stentiamo a capire soprattutto in virtù di un succosissimo dibattito che si sta sviluppando in queste ore in terra italica sulla presunta inferiorità economica e morale dei meridionali rispetto ai settentrionali. Per la serie: la discriminazione non dorme mai, nemmeno con l’apocalisse nel cortile.

Così si è espressa, da Giletti, Annalisa Chirico, firma pugliese de Il Foglio, a proposito delle recenti parole del direttore di Libero: “Credo che Feltri ponesse un tema vero, poi forse ha un po’ smorzato, cioè che un popolo che economicamente è più debole, più lento, alla lunga rischia di essere anche moralmente inferiore”. Lentezza e minorità economica, a quanto pare, possono assurgere a fucine di inferiorità morale. La filiera dell’inferiorità morale, che non chiameremo bassezza per non travisare le raffinate conquiste antropologiche del salotto gilettiano, sembra proprio che accresca con l’abbassarsi degli indici della produttività: la vecchia invidia sociale dei bei tempi andati è ormai una categoria obsoleta, persino buonista.

Tuttavia, se c’è un rischio concreto che povertà e annessa inferiorità morale dilaghino oltre la soglia di guardia nelle terre del Sud, non si capisce come mai, a disparità di condizioni epidemiologiche, non si faccia nulla per farle ripartire prima. Ovunque ci si preoccupa del ritorno in carreggiata della Lombardia, locomotiva economica e – Chirico dixit – morale d’Italia, e nessuno che spenda due parole sull’immobilità imposta alle zone depresse, in buona parte risparmiate dalle funeste matematiche del SARS-CoV-2.

La minore efficienza sanitaria si è rivelata un valido movente per giustificare un lockdown preventivo, i cittadini del Sud per primi, sfiduciatissimi nei confronti della prontezza del sistema ospedaliero meridionale, hanno seguito alla lettera le istruzioni e si sono irregimentati tumulandosi in casa. Ma, alla luce dei numeri attuali dell’epidemia, come spiegare a tutti quei piccoli imprenditori del Mezzogiorno, già inclini al titanismo per il solo fatto di aver tentato l’impresa di fare impresa al Sud, che dovranno fallire per puro spirito di allineamento politico con il resto del paese. Perché qualcuno, prima o poi, dovrà pur far chiarezza sul criterio, evidentemente non scientifico, in base al quale il governo Conte ha optato per una linea omogenea laddove la diversa situazione dei territori richiedeva palesemente approcci differenziati.

E se la ratio di questi provvedimenti dovesse sostanziarsi nel timore di una seconda ondata, sulla quale a sentire i virologi vale il detto quot capita tot sententiae, si spiegherebbe ancor meno la garbatissima inculatura patriottica recapitata al Mezzogiorno, perché quando le misure saranno ulteriormente allentate in data 18 maggio, i numeri del contagio della Lombardia si staranno comportando, con ogni probabilità, molto peggio degli attuali numeri delle regioni del Sud. Il che renderà surreale, a un’occhiata retrospettiva, la mancata partenza anticipata di queste ultime.

Forse, i governatori dei luoghi inclini all’inferiorità morale dovrebbero iniziare a farsi sentire e a reclamare nell’immediato un trattamento diverso. Perché a fallire si fallisce insieme volentieri, patriotticamente, ma quando ci sarà da ripartire sappiamo bene dove verranno concentrate le risorse: provate a immaginare come sarebbe andata con Lombardia e Calabria a numeri del contagio invertiti; la Lombardia si sarebbe allineata alle restrizioni imposte alla Calabria?

La fase 2, in psicanalisi, è la fase anale. Non dimentichiamolo.