Calcio: troppi stipendi e troppi gol

Il calcio non è lo sport del marinaio

Gisbert Lippert, tedesco, è rintanato in una grotta ricavata nella roccia, a 400 metri sul livello del mare di Filicudi. Vive lì da 42 anni, ne ha 73. Una vita da eremita dopo aver abbandonato il lavoro su yatch e navi da crociera. Acqua piovana per le abluzioni, carcasse fritte di fichi d’india per le proteine necessarie. Unici contatti col mondo assicurati da una radio e un vecchio telefonino, rifocillati dall’energia del sole. Ben altri conforti per se stesso: «in questa grotta sono venute a trovarmi anche alcune delle mie ‘morose’, ma dopo qualche giorno sono scappate…». Si intuisce lo sport preferito del tedesco, cui non importerà granché delle sorti del calcio che agonizza.

Tagli o morte

L’Inter ha chiuso il bilancio con 100 milioni di perdita, un filo peggio di quello della Juve, che però è campionessa di indebitamento. Entrambe meno peggio di Roma e Milan, schiacciate da un rosso profondo il doppio. Le ambizioni charmant (temiamo vane) di Wandita in Paris e il conseguente suo assenso al trasferimento definitivo di Maurito all’ombra del Louvre (l’orrore ci assale al pensiero di un selfie di Wanda accanto alla Gioconda) hanno fruttato una cinquantina di milioni di plusvalenza. Un toccasana per i cinointeristi vista la reticenza della squadra sull’ipotesi di una benevola sforbiciata covid degli stipendi. Benevolenti invece i calciatori di altri team, tra i quali la Juventus stessa.

Per una volta lo stivale non è il calimero d’Europa. Molte big europee del calcio chiudono in rosso i bilanci. Eclatante il caso del Manchester United che, dopo l’utile del passato esercizio, chiude il 2020 una perdita di circa 26 milioni e un indebitamento monstre, schizzato da 141 a 475 milioni.

La pandemia ha asfissiato ricavi. La contrazione riguarda tutti i rami del business pallonaro contemporaneo: entrate da stadio, da diritti tv, da pubblicità, da merchandising.
A queste flessioni fa da contraltare l’inflessibilità diffusa dei costi per stipendi e ammortamenti.
Se la situazione restasse questa, il pallone sarà sgonfiato dalla pandemia.

Continuare a giocare è essenziale per assicurare la continuità dei flussi dei diritti tv. Ma non basta. Ridurre gli stipendi di big, meno big e affatto big è una esigenza imprescindibile.

Gabriele Gravina, Presidente della FGCI, con sagacia ha chiesto ai suoi pari europei e alle istituzioni calcistiche internazionali una presa di coscienza condivisa del problema. Staremo a vedere se ne uscirà nulla, un topolino o una soluzione seria e risolutiva.

Dai campi

Dalle moquette delle sale dei CdA, passiamo al prato.
Sul campo a veder i campioni d’Italia ci si fa l’idea che il nostro adorato Pirlo, quello che in campo aveva sempre l’idea giusta, non abbia ancora idea di cosa fare.

Il taccuino (Rhodia, carta che asseconda la corsa comoda e carezzevole della Bic) in un mesetto ha registrato l’indicibile: tre espulsioni, un rigore contro, cinque gol annullati dal var (tutti ad Alvaro Morata, capocannoniere dell’offside).
Il potere arbitrale si sta evidentemente riposizionando o dilaga il daltonismo tra i fischietti.

In questo abbrivio di campionato si segna molto: 183 gol in 49 incontri disputati. Fanno quasi quattro gol a partita. Erano 2,68 nella stagione 2018/2019 e 3,2 nella stagione 2019/2020. Il trend pare chiaro. Si segna sempre di più. Si segna troppo. La tattica dei trainer si sta europeizzando.

A noi, ortodossi dell’Ormeasco di Pornassio, col bicchiere in mano a vagheggiare di ubbie, tra la nebbia dietro casa e il mare lontano all’orizzonte, piaceva, piace e piacerà il calcio tattico degli uno a zero tignosi (come il vino).

Bisogna accettare i mutamenti, dicono. Del resto c’è la cagnara di Caressa lì dove accarezzava l’aria l’onda sonora della voce di Martellini. Più che assecondare i tempi, si tratta di accettare l’idea di doversi rassegnare.

Cinque giornate sono pochine, ma qualche indicazione si può trarre.
Le squadre del Gasp annaspano un po’ partenza, ma è evidente che l’Atalanta non regge il doppio impegno perché in panchina i piedi sono ruvidi e le gambe flosce. Il turnover produce disastri. Sarà una stagione dura per la dea.
Il Napoli di Gattuso pare giocare un pelo oltre le proprie possibilità. La fiamma Lozano si è estinta a Benevento, dove è invece riemerso Insigne. Sul golfo la panchina è più congrua al livello dei titolari. Attenzione al tignoso Gattuso.

In fondo a destra, tra le matricole, La Spezia e Benevento esprimono un gioco razionale, coraggioso ed efficace, nei limiti del tasso tecnico dei calciatori a disposizione. Ottimo lavoro dei trainer. Potrebbero salvarsi.