Dalla parte di Ascanio per un’etica del futuro

Questa riflessione aveva un titolo più lungo: Essere (anche) dalla parte di Ascanio. Poi ho deciso di togliere parentesi e compromessi. Quello che stiamo vivendo esige perentorietà, non usa sfumature. La pietrosità delle parole e delle posizioni, in tempi come questi, è un dovere.

Quando il (frainteso) discorso di Boris Jonhson, nell’oramai remoto marzo, passò sui network nazionali, il letterato Mauro Berruto scrisse una ‘commovente filippica’ (cito), che spopolò anche sui social: «Noi siamo Enea che prende sulle spalle Anchise, il suo vecchio e paralizzato padre, per portarlo in salvo dall’incendio di Troia, che protegge il figlio Ascanio, terrorizzato e che quella Roma, che Lei [si rivolge al premier inglese] tanto ama, l’ha fondata».
BJ aveva lasciato intendere che, purtroppo, avremmo dovuto rassegnarci all’eventualità di perdere i nostri cari più anziani, per colpa del Covid.

Il richiamo ad Anchise è tornato, qualche settimana fa, dopo l’uscita disgraziata del Presidente della Liguria Giovanni Toti: «Gli anziani non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese». Ma lo sdegno, anche se diffuso, non assolve. Si è, nei fatti, rinunciato ai nostri anziani da tempo, falciando la sanità o, in certe realtà ‘produttive’, parcheggiandoli nelle RSA, dove si registrano i numeri più alti di decessi per Covid. Questo in tutto il mondo, beninteso. Tutto il mondo si è già scrollato dalle spalle Anchise.

Ma non voglio cedere ad una retorica di risulta. Voglio insistere con una indagine laica su quella scena: Enea che fugge. E capire. C’è una città in fiamme, c’è un padre. Un padre che è insieme figlio e marito. Un eroe minore, pure se destinato a fondare Roma. La scena è scolpita da Bernini. Enea che avanza con Anchise in spalla, e il figlio, Ascanio, più defilato, come a proteggersi nell’avanzare, mentre in realtà fatica a tenere il passo.

Creusa, la moglie di Enea, già non c’è più. Nel racconto di Virgilio, ella a un certo punto semplicemente scompare. Enea si accorge della sua assenza solo quando oramai al sicuro. Si dispera. Ha mal confidato che la moglie riuscisse comunque a salvarsi? Nella fuga precipitosa, si è distratto? O ha scelto? Non mi avvidi di averla perduta e non le prestai attenzione, confessa Enea.

La retorica della civiltà che protegge tutti, invocata da Berruto, già vacilla, perché trascura qualcuno. La scena è controversa. É controverso il destino di Creusa. Nell’iconografia stessa, in qualche modo, si gioca il giudizio sull’episodio e su Enea. Apollonio di Giovanni, nelle sue miniature, raffigura Ascanio che si allontana dalla madre, che a un certo punto si ferma, desiste. Il piccolo allunga la mano. Ludovico Carracci nasconde i volti di Enea e di Anchise, e fissa il proprio sguardo su Ascanio, che si volta verso la madre. Anche Raffaello, nel cosiddetto Gruppo di Enea, dimentica Creusa. C’è una variazione interessante: Ascanio (se è lui) ora precede il gruppo, e porta con sé uno scrigno, che forse contiene i Penati. Lo scrigno diventa fiaccola, nell’olio su lavagna di Paolo Farinati, e Ascanio conduce. E c’è un’iconografia che interpreta il destino di Creusa: rapita da un gendarme, uccisa, dimenticata.

In tutte le varianti, la fuga oggettivamente è fuga di maschi. Ma se quella di Enea è stata una scelta, che tipo di scelta è stata? Politica o affettiva? Certo non etica, verrebbe da dire. O almeno non etica secondo quanto ci ha consegnato il pensiero umano dopo Kant. L’etica di Enea, in effetti, stabilisce priorità, nel computo delle vite da salvare: è ancora troppo confusa con la politica, con la tradizione. La distinzione tra etica e politica è una conquista straordinaria, ma a conti fatti solo novecentesca. Nell’etica di Roma, e quindi dell’Occidente, c’è una serie di conflitti irrisolti; non ultimi, quelli di generazione.

Come irrisolto è il destino di Ascanio. Protetto dagli dei, la notte della fuga, più che dal padre. Una lingua di fuoco lo lambisce, senza ustionarlo. Mentre oggi si sacrifica Ascanio, nel nome di un’etica (di un moralismo?) dell’emergenza, che si illude di poter salvare tutti. Proprio oggi che non ci sono più dei. Questa illusione sta trascurando, anzi sta annientando, la socialità, la scuola, il gioco, il diritto dei più piccoli di essere tali. La colpa non è della pandemia, ma della impreparazione ad affrontarla, delle crepe strutturali (sanità, lavoro, scuola, amministrazione) dove effettivamente il virus alligna e si riproduce.

Se proprio ci si deve appellare ad un’etica della civiltà, questa deve essere un’etica che guarda al futuro: un’etica del futuro, che è un’etica della responsabilità, come raccomanda Hans Jonas. Un’etica che protegge e prepara il mondo per le giovani e addirittura per le prossime generazioni, per i bambini, e anzi per i bambini che verranno. L’etica di Anchise è ancora troppo preoccupata del presente, aggrappata al proprio passato. Se si ha davvero paura e se si vuole davvero tutelare la vita, se si è chiamati alla terribile eventualità di schierarsi, allora bisogna schierarsi dalla parte di Ascanio. Sempre.