Il Lupin di Netflix e i pittori di Étretat

I numeri ci dicono che è la serie del momento. Niente robottoni, draghi sputafuoco, costumi settecenteschi né oscure trame da malavita d’antan, piuttosto – come diremo – alcune affascinanti suggestioni artistiche. Con i suoi 70 milioni di spettatori nel mondo nelle prime quattro settimane dal lancio, infatti, Lupin è l’esordio più visto tra le serie Netflix e una delle serie di maggiore successo in termini assoluti per la piattaforma di streaming video. E il dato, evidentemente, non era certo scontato.

Innanzitutto per la produzione in lingua francese, poi per aver rimesso mano a un personaggio altamente iconico della letteratura di genere, quell’Arsène Lupin protagonista di una fortunata serie di racconti e romanzi nati dalla penna di Maurice Leblanc agli inizi del secolo scorso.

Ma un terzo motivo di interesse per questo successo straordinario, nato da un fraintendimento presto polverizzatosi dopo la pubblicazione delle prime cinque puntate – le uniche al momento disponibili – è quel vago brivido razzistoide che aveva suscitato la diffusione dei primi teaser: da più parti alcuni avevano storto il naso nel vedere nei panni del “ladro gentiluomo” di Leblanc – così almeno si era pensato a prima vista – l’imponente presenza di Omar Sy, l’attore francese, di origini senegalesi e mauritane, arrivato al successo internazionale con Quasi Amici ormai dieci anni fa, per poi lavorare in pellicole come Jurassic World o X-Men – Giorni di un futuro passato. Questi stessi detrattori avevano infatti affilato le unghie, fiutando l’odore di un’operazione di blackwashing, cioè un aggiornamento di personaggi preesistenti attraverso l‘interpretazione affidata ad attori o attrici neri, per assecondare la rinnovata sensibilità del momento.

Ebbene, come si diceva, questi pruriginosi “timori” da custodi della vera fede cinematografica, alla visione della serie risultano completamente infondati: la vicenda narrata, il percorso del “ladro gentiluomo” Assane Diop (interpretato qui egregiamente da Omar Sy), ragazzino senegalese giunto in Francia fin da piccolo, il quale ormai adulto cercherà di far luce sulla tragica morte di suo padre, ha sì un chiaro rimando letterario al Lupin di Leblanc, ma è tutt’altro che una riedizione aggiornata di quelle avventure primonovecentesche.

E, a proposito di polemiche fasulle, fa ancor più ridere pensare che in Italia – dove i romanzi di Leblanc, pur famosi, non hanno avuto certo lo stesso impatto rispetto al panorama letterario francese – una fetta del pubblico associ automaticamente il nome di Lupin al famoso anime giapponese (nato in realtà a fine anni ’60 come manga) trasmesso sulle reti Mediaset fin dagli anni Novanta: il Lupin III attorniato da Jigen, Goemon, Fujiko e l’ispettore Zenigata detto Zazà. Insomma, alcuni davvero hanno iniziato ad agitarsi pensando che avessero messo mano al loro eroe giapponese in Cinquecento gialla.

Ma lasciando da parte le polemiche, qui più che una recensione della serie ci preme concludere sottolineando alcuni interessanti rimandi artistici contenuti nelle cinque puntate fino ad oggi disponibili sulla piattaforma. Innanzitutto l’ambientazione della puntata pilota: il primo e più importante furto ad opera di Assane Diop avviene all’interno del Museo del Louvre, e infatti una delle prime immagini diffuse mostra proprio il protagonista, travestito da uomo delle pulizie, che strizza l’occhio alla Gioconda di Leonardo mentre alle sue spalle fa bella mostra di sé l’enorme telero con le Nozze di Cana dipinto da Paolo Veronese nei primi anni ’60 del Cinquecento. Il secondo rimando pittorico, più velato – di fatto involontario – è suscitato dall’ambientazione della quinta puntata. Nell’ultimo episodio, infatti – niente spoiler, tranquilli – i protagonisti si spostano a Étretat, splendida cittadina marittima del nord della Francia, in Normandia, per assistere a un raduno in maschera dei fan del Lupin letterario.

Ebbene, la spiaggia di Étretat, con le sue meravigliose falesie in calcare bianco, scelta da Leblanc come rifugio letterario dalla metropoli parigina, è un paesaggio talmente suggestivo da aver attirato nei secoli scorsi un buon numero di grandi pittori. La falesia di Etretat dopo il temporale è ad esempio una delle tante tele dedicate dal realista Gustave Courbet a questa spiaggia normanna, in cui spicca la meravigliosa Falesia d’Aval, con un archetto acuto naturale. Lo stesso scenario marino compare in numerosi dipinti di Claude Monet, frammentato in pennellate pure impressioniste, provando a catturare un istante di luce e colore, o semplificato nelle forme nei dipinti di Henri Matisse. Ma l’elenco di pittori affascinati dalla costa normanna potrebbe proseguire.

Insomma, sono tante le suggestioni stimolate da quel paesaggio alla fine della prima stagione di Lupin. E la forzata mancanza di viaggi in piena emergenza sanitaria forse è un grande motore per provare a viaggiare con la mente (e con Google Maps).

Per quanto riguarda Lupin, invece, non resta che aspettare il lancio delle nuove puntate, anche perché tutto si ferma nel bel mezzo degli avvenimenti narrati, in medias res avrebbe detto Orazio. O era Orazio III?