Theodor W. Adorno, ideologia e pensiero

Il furore ideologico conduce sempre fuori strada: il motivo è stato chiarito una volta per tutte proprio da Marx. L’idea è una rappresentazione coerente della realtà, l’ideologia ne è la sua fossilizzazione. La realtà cambia, e l’idea deve adeguarsi al cambiamento. L’ideologia, invece, pretende di fissare una volta per tutte gli schemi entro cui analizzare il reale. Rovescia praticamente il procedimento induttivo, trasformandolo in adeguamento del reale a un’idea trascendente e preesistente di realtà. Pertanto invece di aversi un adeguamento dell’idea alla realtà che cambia, si ha un adeguamento della realtà che cambia ad un’unica idea di realtà, o, meglio, una formulazione dell’idea di realtà che non tiene conto del fatto che la realtà che dovrebbe descrivere si è nel frattempo trasformata.

Potrebbe sembrare una sorta di platonismo, ma Platone non afferma che l’idea corrisponda alla realtà, bensì che la realtà ne è un’attuazione imperfetta, e dunque è tutt’altro che disattento alle trasformazioni della realtà, il suo interesse per la matematica e gli ultimi dialoghi ne sono una dimostrazione.

Questa forse un po’ intricata premessa nasce da una constatazione: Adorno, più volte, bolla sia Handel sia Gluck come compositori poco interessanti dal punto di vista delle strutture della composizione. Ciò, perché Adorno è ossessionato da una certa idea della forma musicale, quella ereditata dal suo maestro Alban Berg, molto più duttile di lui nell’analisi delle forme musicali, e in base a quell’idea Adorno riteneva inferiori, incomplete, o semplicemente superficiali, poco “pensate”, le forme che non corrispondessero all’elaborazione tematica di derivazione classica, per intenderci Haydn, Mozart e, soprattutto, Beethoven.

Per lo stesso motivo, prova imbarazzo nell’analisi della “Missa Solemnis” dello stesso Beethoven, perché gli sembra che vi manchi l’elaborazione tematica. Non gli passa per la mente che proprio per adeguarsi a una “mimesi”, modernissima, quasi stravinskiana, del canto ecclesiastico, e in particolare, del canto gregoriano, Beethoven riduca il tema alla semplice percezione del campo armonico, a un accordo, l’accordo di re maggiore che la apre: due volte, prima l’orchestra e poi le voci. Questo accordo è sottoposto a infinite avventure, nel “Credo”, per esempio, sembra affermarsi dapprima come mi bemolle maggiore, ma conquista subito la tonalità di si bemolle maggiore, che è quella scritta in chiave, e nel seguito oscilla tra le due, impostando subito l’oscillazione di quarta e quinta, tipica dei modi ecclesiastici. L’impianto è di si bemolle maggiore, legato al re maggiore dell’attacco della messa, anche qui, attraverso un gioco di quinte e di quarte (re, relativo minore di fa maggiore, dominante di si bemolle, ma sono possibili anche altre interpretazioni, per esempio re come dominante di sol, relativo minore di si bemolle, e così via). Del resto Dahlhaus osserva che nella 20a variazione Diabelli il tema è ridotto al solo semitono. Trasecola, cerca di convincersi di sbagliare, ma poi l’analisi gli conferma il fatto che davvero il tema è ridotto al solo semitono.

Il pensiero musicale di Beethoven conosce, infatti, astrazioni vertiginose. Probabile che in ciò la sordità avesse il suo peso, nel senso che perdendo via via la percezione sensibile del suono, Beethoven esasperasse la tendenza al lavoro contrappuntistico “astratto”, tendenza che si rivela già accentuata nelle opere giovanili, per esempio nelle tre Sonate op. 2, soprattutto nella seconda, o nella Sonata op. 7, per non parlare dei Trii per archi.

Tornando a Gluck e Handel, sfugge ad Adorno che entrambi sono compositori soprattutto teatrali. L’effetto emotivo e si direbbe “visivo” del procedimento compositivo sull’ascoltatore acquista dunque per loro un rilievo primario, ed è in vista di tale effetto che elaborano le loro pagine. Wagner si muoverà nella stessa direzione e vi si muove perfino già Mozart, e non solo nel teatro. Ma a chi si ostina a pensare che la sola musica valida sia la musica assoluta, la musica pura, non contaminata, o sporcata da procedimenti estranei alla pura elaborazione tematica e contrappuntistica, sfuggirà sempre la ricchezza inesauribile della musica che fa diventare musicale anche la costruzione apparentemente extramusicale di un effetto che colpisca l’ascotatore. In poesia si chiamerebbe metafora. Altrimenti Monteverdi, Liszt, Smetana e Richard Strauss non sarebbero, e infatti per Adorno non sono, quei grandi compositori che invece sono.

Naturalmente, dissentire su talune affermazioni o posizioni teoriche di Adorno non significa contrastarlo, demolirlo, o addirittura negarne il valore di pensiero. Quest’idea che se critico qualcosa di qualcuno ce l’ho con lui, è molto italiana, ahimè, e sottovaluta il fatto che invece il pensiero si alimenta e si sviluppa proprio dal confronto delle idee.

Spesso traggo maggior profitto dalla lettura di libri dei quali o non condivido talune affermazioni o addirittura non condivido affatto l’impostazione. Ma se mi misuro con il libro, se ne discuto, ne critico il pensiero, vuol dire che per me chi lo scrive è persona di cui tenere conto, altrimenti nemmeno spenderei tempo a criticarlo.

Aristotele cominciò a criticare la dottrina delle idee già all’interno dell’Accademia, dove rimase 20 anni. Ciò significa che Platone era così lungimirante da permettere a un proprio allievo di criticarlo e criticarlo all’interno della stessa scuola da lui fondata. Quando Platone morì, Aristotele aveva già fondato la sua scuola, separata e diversa. Ma scrisse una poesia – bellissima! – in ricordo dell’amato Maestro. L’ultimo verso dice: “è morto il migliore di tutti noi”. In margine: per tutta la sua vita Aristotele si dichiarò “platonico”. Il motivo è semplice, e lo chiarisce nel breve, ma denso, paragrafo che dedica, nel primo libro della Metafisica, ai filosofi che lo hanno preceduto.

Santo Mazzarino, il grande storico della storia antica, giustamente sostiene che abbiamo qui il primo, e insuperato, esempio di come si scrive la storia del pensiero. Aristotele si riconosce “platonico” perché individua in Platone la prima e vera impostazione di un metodo di pensiero. Socrate aveva formulato, per primo, la definizione di che cosa è un concetto. Platone aveva spiegato come i concetti si combinino tra loro a costruire un pensiero. Non si dimentichi che la teoria del sillogismo Aristotele la elabora quando si trova ancora, non più come studente, bensì come insegnante, e dei principali, al punto che si supponeva che ne diventasse il capo, cosa che non avvenne, nell’Accademia.

Adorno, dunque, è e resta un punto e un momento ineliminabile, indispensabile, del pensiero che riflette sulla musica da Aristosseno a oggi. Chiunque pensi di poterlo saltare e farne a meno, si sbaglia. Gli si deve, per esempio, il principio metodico che qualsiasi discorso sulla musica che prescinda da come una musica è fatta sono parole al vento.