Dilemmi contemporanei: inghiottire la pillola o ardere nella fede dei no vax?

All’uomo piace la narrazione, non c’è dubbio. Ogni cosa deve avere un senso, rispondere ad un’esigenza o ad un ragionamento, seguire un filo logico che dipanandosi tra labirinti mentali si concluda finalmente con un’epifania accompagnata da una bella esclamazione liberatoria, quale ad esempio “…ah, ecco perchè!”.

All’uomo contemporaneo piace anche la classificazione come codificazione della giungla in cui viviamo: per una economia di risorse mentali si tende a semplificare avvenimenti, emozioni, persone, pensieri e a considerare paradossalmente le altrui impressioni o vissuti perfino come un’ingerenza nella visione nostra delle manifestazioni materiali e umane.

Si raggiungerebbe una meravigliosa utopia se il mondo e la sua chiave interpretativa si complementassero armonicamente, tuttavia più realisticamente finiamo per creare un intreccio distopico, una trama preziosa e unica che chiamiamo vita.

E di cosa ha bisogno questa nostra vita?

Rimedi, ovviamente, e tanti.

Una medicina per ogni malanno e per ogni carenza da curare di volta in volta con la gargantuesca scelta tra le molecole che Big Pharma va propagandando. Il mercato trae un così alto profitto da “nuovi farmaci” che ormai per approvarne l’uso è prassi eseguire degli studi clinici che dimostrino la non-inferiorità terapeutica rispetto ad un medicamento già noto. Tale pratica espone ovviamente l’azienda a meno rischi di insuccesso in considerazione dell’ingente investimento economico e di risorse in ricerca e sviluppo.

In effetti tale metodologia giustifica l’introduzione di un “nuovo farmaco” sulla base non del principio di superiorità terapeutica, come è naturale che sia per una vera innovazione, ma sulla spinta di esigenze di marketing e di una più ampia scelta che ogni azienda concorrente può offrire con il suo portfolio di farmaci.

Va ricordato, sopratutto a monito di coloro che vanno a caccia di panacee innovative, che una nuova medicina è per forza di cose anche meno studiata: gli effetti collaterali non intercettati negli studi clinici possono manifestarsi in maniera statisticamente significativa solo con un gran numero di pazienti, quando un farmaco è ormai sul mercato.

Ci si aspetta quindi l’iniziativa del fruitore finale, il cittadino, che in maniera diligente e proattiva comunichi gli effetti indesiderati agli enti di farmacovigilanza, come lodevolmente promosso dalla nostra agenzia regolatoria, l’AIFA.

E’ anche lodevole che in Italia tale vigilanza non sia affidata alle aziende farmaceutiche, per una ovvia questione di imparzialità; tuttavia spesso e volentieri, seppure con una raccolta cospicua di dati e uno sfavorevole rapporto beneficio/rischio, le agenzie regolatorie europee sono alquanto inerti nel ritirare dal mercato i nuovi farmaci.

In alcuni casi difatti si accerta che i rischi superano notevolmente i benefici non durante la fase di sperimentazione clinica, ma solo nel successivo periodo del ciclo di vita del nuovo medicamento, cioè la cosidetta fase 4 di post-marketing.

Di conseguenza è plausibile intuire quali siano gli enormi interessi e le indebite ingerenze che Big Pharma esercita nella politica e come in Italia sia stato trovato, da sempre, terreno fertile.

L’Agenzia Italiana del Farmaco nasce non per caso dopo lo scandalo Poggiolini dalle ceneri del Servizio Farmaceutico, ufficio che era all’interno del Ministero della Salute.

Oggi l’industria farmaceutica non fa altro che mostrare a tutti i costi che sa “innovare” e riesce a presentare un armamentario adeguato per tutti i malanni.

Paradossalmente si finisce così per abbandonare la ricerca di un’unica, appetibile e utopica panacea per la cura di tutti i mali, esigendo invece una moltiplicazione distopica di medicine, per soddisfare le velleità del popolo, per mitigare dal basso e “democraticamente” le urla di chi chiede “dateci la nuova cura!”

E il Governo si adegua.

Che paese meraviglioso è l’Italia! Abbiamo una splendida agenzia regolatoria che tuttavia non ha potere esecutivo. Può approvare rapidamente studi clinici per testare l’efficacia di un antivirale per un nuovo uso (in verità dubbio, se non controproducente), ma non può ordinare la semplice distruzione di farmaci scaduti alle aziende farmaceutiche.

Può addirittura autorizzare l’uso off-label (uso diverso per il quale era destinato) di un medicinale senza che sia necessario che la stessa azienda produttrice avvii da sé la pratica dovuta: l’intento nobile consiste nell’evitare speculazioni di prezzo (vedi il caso Avastin – Lucentis); tuttavia l’AIFA non ha un organico adeguato da dedicare alla miriade di compiti e neanche i poteri necessari dell’Antitrust.

Non che il resto del mondo sia immune da corruzione o condotte fraudolente quando si parla di cartello tra le industrie farmaceutiche.

Negli USA l’elenco di “adverse effects” da riportare sul bugiardino spesso sono frutto di una negoziazione riservata tra FDA (Food and Drugs Administration) e industria farmaceutica.

Non di rado in alcuni studi clinici sono state presentate concentrazioni plasmatiche del principio attivo solo nelle fasi preliminari per poi invece simulare con modelli matematici di farmacocinetica concentrazioni virtuali, putative, senza avvisare la FDA di questo cambiamento.

Può anche capitare che un farmaco che non sia stato approvato in prima istanza negli USA come il dapagliflozin (per il trattamento del diabete tipo 2) venga invece introdotto tranquillamente in Europa.

Opera delle alte sfere? Di lobbying? Sottili tattiche tali da far cambiare le proprietà farmacologiche di una molecola a seconda del politico e del paese dove approda? Ipotesi non riscontrate, certo, che però potrebbero far esclamare: “…ah, ecco perchè!“. Ma non c’è da stupirsi visto che spesso e volentieri chi guida le aziende farmaceutiche si preferisce non abbia assolutamente una cultura scientifica e se ha un titolo attinente che sia soltanto decorativo!

Noi intanto stiamo qui a dibattere se sorridere e inghiottire la pillola, come fa spensierata la geisha in Blade Runner, o se invece ardere accigliati nella fede dei no-vax e dell’omeopatia.